di Francesca Radaelli
Contribuire alla pace e alla sicurezza attraverso educazione, scienza e cultura. Utilizzare questi mezzi per promuovere la collaborazione tra le nazioni. Questo lo scopo, esplicito e dichiarato, con cui il 4 novembre 1946 entra in vigore la costituzione dell’Unesco, l’agenzia delle Nazioni Unite il cui acronimo sta per United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization. Poco più di un anno prima, il 16 novembre 1945, il testo dell’atto costitutivo era stato ratificato da 20 paesi, che facevano parte della Conferenza dei Ministri Alleati dell’Educazione riunitasi per la prima volta a Londra nel 1942. In piena seconda guerra mondiale, mentre ancora ben poco si sapeva di quello che stava succedendo nei campi di lavoro di Germania e Polonia, si faceva largo l’idea che la Pace non potesse affermarsi senza Cultura. Ossia che la cultura non dovesse essere considerata qualcosa di astratto ed elitario, ma un patrimonio comune a tutti gli uomini in quanto tali. Oggi la lista dei siti Unesco Patrimonio dell’Umanità è un punto di riferimento per tutti, ma questo purtroppo non basta per salvare i simboli della nostra cultura e della nostra storia.
Da quel 4 novembre 1946 a oggi, infatti, gli sfregi a questo patrimonio sono stati parecchi, alcuni tangibili e impressionanti, altri magari meno evidenti ma non per questo meno gravi e inquietanti. Abbiamo ancora gli occhi feriti dalle distruzioni compiute dallo stato islamico, in Siria, all’antica città di Palmira. Per non parlare delle antiche mura di Ninive e della città assira di Nimrud. E questi sono solo alcuni degli esempi più recenti. Nel 2001 c’erano state le due enormi statue di Buddha nelle rocce di Bamyan in Afghanistan fatte saltare in aria dai Talebani, nel 2012 i mausolei islamici sufi nell’antica Timbuktu, in Mali, distrutti dai jihadisti.
Qual è il motivo che porta a distruggere i simboli di una storia che in fondo è anche la propria? A disintegrare i monumenti di un passato che appartiene a tutti, in quanto uomini? È quello che ci si chiede, sbalorditi, da più parti.
A spiegarlo è in un certo senso lo stesso documento che segna la nascita dell’Unesco, scritto quasi settanta anni fa:
“Poiché le guerre hanno origine nello spirito degli uomini è nello spirito degli uomini che si debbono innalzare le difese della pace”, si legge nel Preambolo dell’atto costitutivo. “Poiché la dignità dell’uomo esige la diffusione della cultura e l’educazione di tutti per la giustizia, la libertà e la pace, tutte le nazioni hanno doveri sacri da adempiere in uno spirito di mutua assistenza”.
Insomma, in un mondo in cui è aperto il dibattito su cosa ci sia davvero dietro le guerre – ideologia o economia? – da quel preambolo scritto quasi settant’anni fa durante la guerra più terribile del Novecento arriva un monito ben preciso. E quanto mai attuale:
“Una pace fondata sui soli accordi economici e politici dei Governi non può determinare l’adesione unanime, durevole e sincera dei popoli; per conseguenza, questa pace deve essere costruita sul fondamento della solidarietà intellettuale e morale dell’umanità”.
Francesca Radaelli