Nuove terapie per la demenza

di Roberto Dominici
La recente notizia di un nuovo farmaco  in grado di modificare il corso della demenza di Alzheimer ha destato grande interesse internazionale, considerando che a tutt’oggi non esiste una terapia in grado di arrestare l’evoluzione della malattia. 
 
I farmaci usati fino ad oggi  rientrano nella categoria dei sintomatici cioè di quelli in grado di ridurre temporaneamente i sintomi della malattia e sono rappresentati dagli inibitori dell’acetilcolinesterasi  (AChE-inibitori), come il donepezile, la galantamina o la rivastigmina e dalla memantina che ha un altro meccanismo di azione e che è stata introdotta vent’anni fa, nel 2002.
 
In questi ultimi 15 anni la ricerca si è focalizzata su molecole che invece potessero agire con modalità in grado di prevenire, ritardare o bloccare la malattia, determinando  un cambiamento duraturo nella sua progressione clinica, interferendo con  la complessa cascata di eventi neurobiochimici  responsabili.
 
Questi farmaci sono denominati  Disease modifying drugs o therapies  DMT. In questa categoria rientra il farmaco prodotto da Biogen-Eisai  che si chiama Aduhelm e che è un anticorpo monoclonale (il cui nome è aducanumab), approvato dalla FDA statunitense, con modalità  accelerata.
 
Questo anticorpo possiede un’azione anti-amiloide diretta contro la beta amilode, una proteina anomala che si accumula nel cervello, danneggiando irreversibilmente le cellule nervose.
 
L’aducanumab  è un trattamento diretto alla fisiopatologia di base della malattia di Alzheimer, la presenza di placche di beta amiloide. Gli studi clinici per il farmaco sono stati i primi a dimostrare che una riduzione di queste placche, uno dei  reperti caratteristici presenti nel cervello dei pazienti con Alzheimer, dovrebbe portare a una riduzione del declino cognitivo di questa forma devastante di demenza.
 
Le prospettive per Aduhelm erano deboli quando all’inizio del 2019, le aziende hanno interrotto due studi di fase III, EMERGE e ENGAGE, in anticipo dopo che un’analisi di futilità aveva suggerito che il farmaco non avrebbe funzionato.
 
Successivamente, entrambi gli studi hanno valutato il cambiamento osservato dall’inizio del trattamento fino  alla 78° settimana sulla scala Clinical Dementia Rating Sum of Boxes (CDR-SB) che è uno strumento  numerico utilizzato per quantificare la gravità della malattia in pazienti con Alzheimer precoce.
 
Biogen ed Eisai hanno successivamente  rieffettuato una rianalisi  con un set di dati più grande, mostrando una riduzione relativa del 22% sul punteggio della scala CDR-SB rispetto al placebo per Aduhelm ad alte dosi in uno dei due studi (EMERGE). Ora si attende che si pronuncino anche altre agenzie regolatorie, tra cui l’EMA.
 
L’Alzheimer è una malattia subdola che colpisce il cervello molti anni prima che si manifestino i primi sintomi. Per anni la scienza ha cercato, senza successo, la chiave di volta per la cura di questa patologia.
 
Oggi, dopo numerosi tentativi da parte di molte aziende farmaceutiche e  gruppi di ricerca, possiamo dire che esiste una speranza per il trattamento della malattia d’Alzheimer.
 
La ricerca ci dice che è possibile intervenire in modo significativo nella riduzione del declino cognitivo e funzionale, ma ci dice anche che dobbiamo cambiare un paradigma culturale consolidato; bisogna intervenire precocemente e tempestivamente, bisogna supportare i sistemi sanitari perché siano pronti ad accogliere le nuove terapie, sviluppando la cultura della prevenzione e supportando concretamente la ricerca di base e applicata
 
 
 
 
 
 
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