Obbiettivo: la felicità dei cittadini

felicita di Daniela  Zanuso

Il rapporto mondiale sulla felicità, commissionato dall’ONU attesta l’Italia al 45° posto della classifica con una sufficienza stiracchiata. Ai danesi la palma d’oro.

Domanda: quale dovrebbe essere il fine ultimo e supremo della politica? Risposta: il bene comune.

Spesso però i politici, concentrati come sono sui mezzi piuttosto che sui fini, perdono di vista l’obbiettivo finale, quello cui andrebbero indirizzati tutti gli sforzi, l’obbiettivo all’origine di ogni desiderio umano: la felicità. Prendiamo in esame l’ultimo rapporto in senso cronologico sul benessere dei cittadini nel mondo, pubblicato nel 2013 dal Sustainable Development Solutions Network delle Nazioni Unite (SDSN) ed integrato con altri sondaggi dell’istituto Gallup e dell’Ocse.

La chiave per una corretta misurazione parte dal significato della parola felicità. In questa analisi la felicità è intesa non come l’emozione più o meno passeggera cui  tutti, prima o poi, siamo esposti, ma come il grado di benessere complessivo e di soddisfazione per la propria vita. In questa prospettiva, la felicità è considerata dalle Nazioni Unite una componente cruciale di come il mondo misura il proprio sviluppo economico e sociale, un vero e proprio indicatore del progresso di un paese.

Il World Happiness report del 2013 mostra come la misurazione e l’analisi sistematica della felicità ci possa insegnare molto su come migliorare il benessere e lo sviluppo sostenibile a livello mondiale” ha affermato il professor Jeffery Sachs, Direttore dell’Earth Institute della Columbia University e Consigliere speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, e aggiunge “sempre più leader mondiali stanno parlando dell’importanza del benessere come linea-guida per le loro rispettive nazioni e per il mondo. Vi sono ampie prove che popolazioni più serene, che hanno vite più appaganti, e che vivono in comunità più soddisfatte hanno maggiori possibilità di avere una salute migliore, e di essere più produttivi e connessi socialmente”.

Per ognuno dei 156 Paesi coinvolti nell’indagine, gli intervistati hanno espresso valutazioni su una scala da 0 a 10. Il rapporto è ricco di spunti e molto complesso, prende in esame anche aspetti quali la malattia mentale come una delle principali cause di infelicità. Noi ci limiteremo ad una analisi dei risultati più evidenti, il primo dei quali relativo alla media ponderata della felicità a livello globale: un deludente 5,1.  

La percezione di benessere e soddisfazione per la propria vita è data da 6 fattori principali: il reddito pro capite, l’aspettativa di una vita, la presenza di qualcuno su cui contare, la libertà di fare le proprie scelte di vita, l’assenza di corruzione e la generosità dell’ambiente che ci circonda. In generale, il mondo è un posto un po’ più felice e più generoso rispetto a 5 anni fa, nonostante la crisi economica. I miglioramenti più significativi sono stati rilevati nell’Africa sub-sahariana e in America Latina.

Il vertice della classifica della felicità è occupato da 5 paesi europei: Danimarca, Norvegia, Svizzera, Olanda e Svezia, al 6° c’è il Canada. Sarà un caso che si tratti di Nazioni che hanno conservato il welfare, dove lo Stato sociale è presente e attivo? Al contrario, i Paesi europei che hanno la maggior caduta nella scala della felicità percepita, sono quelli che hanno più risentito della crisi economica, i cosiddetti paesi PIGS: Grecia, Italia, Spagna e Portogallo. In fondo alla classifica è il Togo, preceduto da Rwanda, Burundi, Repubblica Centrale Africana e Benin.

L’Italia, con il suo  45°posto, è  in caduta libera rispetto al 2012 (28a posizione) e preceduta da paesi quali l’Oman, il Qatar, il Kuwait, Trinidad e il Suriname. Gli italiani sono meno felici, la crisi economica sicuramente ha pesato molto, ma è significativa la ripartizione del punteggio, secondo cui i nostri connazionali danno un valore molto basso a 3 dei 6 parametri: libertà di fare le proprie scelte di vita, libertà dalla corruzione, generosità da cui siamo circondati. Forse i nostri politici farebbero bene a leggere questo rapporto e trarne qualche interessante considerazione in merito.

O, forse, dovremmo prendere esempio dal Bhutan, piccolo stato asiatico nella catena himalayana, dove non è più il PIL ma la Felicità Interna Lorda (gross national happiness – GNH) il parametro con cui questo paese valuta la propria crescita, che si basa  su un’economia più giusta fondata sui principi del buddismo, sulla promozione di stili di vita salutari, sul rispetto per l’ambiente e  sul buon governo. In poche parole puntano su quei principi che possono migliorare il tenore di vita di quella parte di popolazione da loro definita la “not-yet-happy people”.

 

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