di Francesca Radaelli
La crisi dei padri del nostro tempo approda sul palcoscenico. E viene letteralmente sbattuta in faccia agli spettatori. In maniera comica, ma anche un po’ brutale, sicuramente senza troppe metafore e giri di parole. In nome del padre, recita il titolo dello spettacolo di Mario Perrotta in scena lo scorso venerdì al Teatro Manzoni di Monza, ed è il primo capitolo di una trilogia sulla crisi della famiglia, a cui seguirà una seconda puntata sulle madri e un’altra sui figli. L’attore pugliese si fa in tre e, solo sulla scena, con l’unica compagnia di tre enigmatici manichini di ferro, presta corpo e voce ad altrettante figure paterne che potremmo tranquillamente incontrare nella vita di tutti i giorni. Perrotta è bravissimo nel variare repentinamente gestualità e inflessione dialettale nel passaggio da un personaggio all’altro.
C’è il padre di Virgilio, colto giornalista siciliano alle prese con un figlio che si è rinchiuso in camera e non vuole parlare con nessuno. C’è il padre di Alessandro, che si esprime in una lingua a metà tra italiano e veneto, lavora in officina e cerca di comprendere il figlio sforzandosi di decifrare le parole dello “pissicanalista”. E poi c’è il padre napoletano di Giada, che con sua figlia – e le amiche – vuole condividere soprattutto le uscite in discoteca, le canne, le bevute, e i consigli li chiede…alla cartomante.
Vivono nello stesso palazzo e all’apparenza non potrebbero essere più diversi. Tutti e tre, però, si trovano, da padri, di fronte al muro eretto dal silenzio e dall’isolamento dei propri figli.
Il tema dello spettacolo è di un’attualità urgente e lampante. I tre padri non sono personaggi costruiti per il divertimento dello spettatore, ma nascono dal confronto di Perrotta con Massimo Recalcati: lo spettacolo si avvale infatti della consulenza drammaturgica del celebre psicanalista che proprio al ‘tramonto dei padri’ ha dedicato studi e ricerche, arrivando a teorizzare che “il nostro tempo è il tempo dell’evaporazione del padre e di tutti i suoi simboli”.
A fine serata l’attore risponde alle domande del pubblico, in un dialogo vivace moderato dalla critica teatrale Valeria Ottolenghi e da Paola Pedrazzini, direttrice artistica del teatro e ideatrice della rassegna Altri Percorsi in cui è stato ospitato lo spettacolo di Perrotta. E colpisce che la discussione si accenda non tanto sulla modalità innovativa con cui è stato condotto lo spettacolo – un attore, tre personaggi, tre ‘lingue’ e un’ottima prestazione di Perrotta premiata da lunghi applausi – ma proprio sul tema centrale del lavoro dell’attore, che non può che coinvolgere da vicino gli spettatori, chiamati in causa in quanto padri, madri e figli. Lo stesso attore avvia la conversazione raccontando della propria paternità, forse la molla vera e propria che ha fatto partire il progetto della trilogia della famiglia, e gli interventi successivi puntano soprattutto a scandagliare la genesi delle tre figure paterne, che rappresentano altrettante ‘patologie’ identificate dallo stesso Recalcati.
Certo, come sottolinea lo stesso Perrotta durante lo scambio con il pubblico, quello dei padri è solo un punto di vista, una faccia della medaglia, e la crisi di tante famiglie del nostro tempo non è solo ‘colpa’ della figura paterna. Di conseguenza non può che crescere l’attesa per gli altri due capitoli della trilogia. Che cosa accadrà in nome della madre? E in nome del figlio?