di Enzo Biffi
Fiorello per mestiere ci fa ridere; il Papa per missione ci fa pregare. Ma ogni tanto, per la legge naturale del destino, capitano coincidenze improvvise: così che qualche settimana fa entrambi mi hanno fatto ragionare.
Sulle pagine dell’Avvenire, Papa Francesco esortava il giornalismo tutto a raccontare anche buone cose, ad avere una visione più profetica della notizia, insomma ad essere un po’ più costruttivi e formativi. Negli stessi giorni Fiorello, ben lontano dalle stanze vaticane e – credo – da ogni possibile sospetta volontà educativa, cercava a suo modo di porre l’accento sulla necessità di limitare l’invasione della cronaca nera soprattutto in tv, specialmente in certi orari. Sarebbe bello pensare che Papa Francesco abbia copiato Fiorello perché, del resto, il contrario sembrerebbe naturale: vuoi mettere che scoop essere certi del contrario?
Al di là di questo, sta di fatto che entrambi – nonostante la distanza siderale che li separa – hanno avvertito l’urgenza di richiamare l’attenzione sulla bulimica tracimazione di cronaca nera, sui dettagli raccapriccianti e sulle storie da benzina sul fuoco nel quale il giornalismo vincente si è identificato.
Ora: se al giornalismo moderno sembra impossibile fare a meno di ammiccamenti morbosi, piazze urlanti, dettagli anatomici crudi e a tutto il corredo del perfetto finto-scoop quotidiano, a me personalmente ciò non basta per rassegnarmi. Certo non sono più abbastanza ingenuo da non sapere a chi e a cosa giova esporre volti, luoghi e nomi di fatti criminali compiuti o solo sospettati. Lo spot vola alto, l’audience “spacca” e sull’altare profano del diritto di cronaca si sacrifica il diritto di conoscere. Perché conoscere è un’altra cosa: sono approfondimento, dati statistici, spiegazioni di esperti e racconti svestiti di tutte le ricostruzioni dettagliate di scuola “argentiana”.
Se Francesco Guccini già molti anni fa cantava: «e chi fa il giornalista si vergogna», consola anche sapere che dal Papa a Fiorello il vento che porta l’olezzo della finta informazione comincia a stancare. È quello che si chiama sentore comune, e nasce quando il bicchiere è proprio colmo; se resta ancora una specie di “non detto”, la situazione è ormai palese a tutti.
Resta allora agli ingenui, ai bambini, agli artisti o ai sognatori l’onere e l’onore di gridare:«Ma il re è nudo!»