di Luigi Losa
Tutti a stupirsi e a sgranare gli occhi davanti ai numeri. E sui numeri anche a discettare e cavillare.
La realtà, i fatti, quelli veri, incontrovertibili, di sabato 25 marzo dicono che da una parte c’era un uomo, un prete come lui stesso si è presentato al mattino alle case bianche, un papa venuto dall’altra parte del mondo, quasi alla fine, che da quattro anni non fa che prendere tutti e sempre in contropiede, stupire, commuovere, ma anche sovvertire regole ed attese. E dall’altra parte c’era, c’è, un popolo, il popolo di Francesco e, per sua stessa definizione, il popolo di Dio.
Che uno ci creda o no. Il popolo di Dio è l’umanità, quella che da duemila anni a questa parte ci racconta e ci ricorda il Vangelo, quella che papa Francesco ripete continuamente, senza sosta, instancabilmente, essere la ragione prima e ultima di una fede.
Quella distesa senza fine di gente sparsa e insieme tanto ordinata che sabato ha invaso il parco di Monza e ha aspettato per ore sotto un sole inatteso quanto assai caldo richiamava parecchio alla memoria il popolo delle beatitudini e quello della moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Un popolo conscio delle proprie debolezze e dei propri limiti, anche fisici, un popolo capace di sopportare i suoi dolori e le sue disgrazie, basti pensare alle migliaia di disabili e persone in difficoltà che hanno ‘voluto’ esserci a tutti i costi, un popolo consapevole di vivere in un tempo di grandi confusioni dentro la vita e la società, dentro la Chiesa, dentro la stessa propria fede, un popolo che si vuole smarrito o incapace di ragionare con il cuore e con la mente e pronto invece ad affidarsi solo alla pancia, un popolo invece sereno, serio e insieme gioioso senza eccessi, un popolo fiducioso, un popolo che non ha abdicato alla speranza.
Questo era ed è il popolo di Francesco, il popolo di sabato al parco di Monza, mai così numeroso ad un incontro con un papa in Italia.
Il popolo al quale il ‘suo’ papa, apparso quanto mai provato al suo arrivo, e forse per questo accolto con entusiasmo ma senza eccessi, quasi volesse rispettare una fatica che traspariva dal volto, dall’incedere faticoso verso l’altare, dalla stessa voce mai apparsa così debole, si è però rivolto, al momento dell’omelia, il momento dell’a tu per tu, diretto, corale e insieme individuale, con una energia ed una forza via via crescente delle parole, della Parola.
Un’omelia da leggere e rileggere, da imparare e ricordare, da far diventare regola e modo di vivere, individualmente ma prima ancora come popolo, perché in questo contesto, ambito, direzione, obiettivo, strategia era diretta e finalizzata.
Le parole chiave si susseguono, incalzanti: periferia, incontro, popolo, solidarietà, ospitalità, misericordia, speculazione, vita, lavoro, famiglia, poveri, migranti, giovani, e altre ancora.
Poi le tre ‘chiavi dell’Angelo’ dell’annunciazione a Maria, la festa di sabato, la festa tutta monzese di Santa Maria delle Grazie: evocare la memoria, l’appartenenza al popolo di Dio, la possibilità dell’impossibile. In un crescendo rossiniano come si suol dire malgrado la fatica.
Ecco il segno, il significato dell’incontro con il papa a Monza. Ecco perché valeva la pena mettersi in cammino, e tutti chi più chi meno ha dovuto farlo, per esserci. Per essere popolo e stare con il ‘nostro’ papa.