La Redazione
E’ stato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a inaugurare la mostra in commemorazione delle vittime del terribile terremoto che nel 1968 distrusse l’intera Valle del Belice, in Sicilia.
Un territorio estremamente esteso tra tre province: Trapani, Agrigento e Palermo. Fu una catastrofe. La ricostruzione, nonostante gli ingenti fondi e risorse è praticamente durata quarant’anni. La rassegna ospitata a Palermo dalla Fondazione Sant’Elia ( fino al 14 marzo 2018) ricostruisce attraverso fotografie e filmati degli archivi Rai le fasi più salienti dei primi soccorsi, i lunghi anni delle baracche, nonchè l’ impegno di un intellettuale e politico siciliano Ludovico Corrao, fra i pochi amministratori di quegli anni a battersi per un’idea diversa di ricostruzione.
“1968/2018 PAUSA SISMICA. Cinquant’anni dal terremoto del Belìce. Vicende e visioni” si intitola la rassegna.
In mostra, ci sono i progetti urbanistici per Gibellina Nuova, i bozzetti dei monumenti e le opere degli artisti –da Alberto Burri con il famoso Cretto a Emilio Isgrò, passando per Piero Consagra, Arnaldo Pomodoro, Mario Schifano, Renato Guttuso – che, raccogliendo l’appello del sindaco di Gibellina di allora, Ludovico Corrao, parteciparono al tentativo di ricostruzione del territorio nel segno dell’arte.
Alle 16.48 del 14 gennaio 1968 ci fu la terza scossa, oltre il sesto grado della scala Mercalli: si sbriciolarono i muri di Gibellina, Menfi, Montevago, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, Salemi, Santa Margherita e Santa Ninfa. Nella notte, alle 2.33, un’altra scossa molto violenta si avvertì fino a Pantelleria. Ma quella devastante, definitiva, fu alle 3.01: il Belice non esisteva più.
I soccorritori quando riuscirono a raggiungere la valle del Trapanese, percorrendo strade distrutte, alcune della quali ancor’ oggi in pessime condizioni – si trovarono dinanzi a un paesaggio lunare, senza vita. Il terremoto che sconquassò il Belìce cinquant’anni fa – solo nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968 morirono quasi 300 persone (ma il numero esatto non si saprà mai), 1000 furono i feriti e 70 mila gli sfollati – rase al suolo paesi abitati soprattutto da vecchi, donne e bambini, visto che gli uomini erano emigrati in cerca di lavoro. E portò alla luce una realtà sconosciuta, quella della Sicilia rurale e arretrata . Il sisma fu il primo grande “caso” del dopoguerra che mise a nudo l’impreparazione dei soccorritori, l’inerzia dello Stato, lo squallore dei luoghi dove ancora, nel 1976, 47 mila persone vivevano nelle baracche. Le ultime 250 abitazioni – baracche furono distrutte nel 2006.
La mostra – curata dalla Fondazione Orestiadi – http://www.fondazioneorestiadi.it / – e co-prodotta dalla Fondazione Sant’Elia, in collaborazione con il Comune di Gibellina – va avanti per temi e sezioni che, nel loro intrecciarsi, restituiscono la complessità dell’accaduto. Si parte dalla notte del terremoto, tra il 14 e il 15 gennaio 1968: gli scatti dei fotografi – Enzo Brai, Nino Giaramidaro, Melo Minnella, Nicola Scafidi – che si precipitarono nella Valle, i primi documenti video, il periodo nelle baracche (Letizia Battaglia). Alla ricostruzione e a Gibellina Nuova è poi dedicata un’intera sezione della mostra che esplora l’urbanistica, le architetture, le sculture attraverso i modelli delle opere realizzate.