Perugia-Assisi: un cammino che unisce

di Enzo Biffi

Nonostante la mia quarantennale convinzione pacifista, spinto come molti dalla contingenza emotiva, per la prima volta accedo alla storica marcia della pace nella sua versione straordinaria.

Così mi ritrovo parte di un popolo composto e ordinato che sfila quasi in silenzio fra le dolci colline umbre per un intero giorno lungo i 24 chilometri che separano Perugia da Assisi

Siamo il gregge della pace, un popolo fatto di giovani donne, colorati anziani, uomini zaino in spalla,  bambini nel passeggino e tutti insieme scivoliamo composti lungo la stessa direzione. Qui non servono pastori e cani da guardia, questo gregge conosce da sempre la sua strada.

Nell’osservarci scivolare fra bandiere colorate e striscioni pacifisti, ho il tempo necessario per trasformare dentro di me gli stessi molteplici colori in altrettanti pensieri.

Osservo questa umanità di cui faccio parte: mi appare semplice ma determinata come sono le cose importanti della vita e subito penso al paradosso che ci spingerebbe tutti a far la guerra qualora ce ne fosse una anche da noi. Perché a far le guerre ci vanno quelli come noi: il gregge umile della gente comune.

Siamo le persone normali, per gentilezza chiamate società civile, madri, figli e fidanzate e proprio noi subiremmo lutti privazioni e dolore. La solita storia: chi fa la guerra oggi è qui e chi la fa fare certo oggi qui non c’è.

Inutile nascondere il tarlo del dubbio che passo dopo passo si ripropone: che ci faccio in questo posto?

Eppure qui mi sento parte di una preghiera laica fatta di ventimila pacifiche intenzioni, ventimila buoni motivi per togliere senso alle ragioni di stato, di mercato, di geopolitica e di potere.

Qui non trovano spazio le guerre vinte o perse, qui non si perde mai, si vince sempre perché l’intenzione di pace non ha mai perso. Presto o tardi gli uomini per vivere e convivere devono trovare una pace qualunque.

Qui sento lontane le voci dei tanti che ci accusano di idealismo inutile, e la visione di Assisi mi suggerisce il pensiero che è certo meglio essere accusati di non servire a niente in pace che essere utili in guerra.

Adesso in cielo un moto ininterrotto e variegato di nuvole mi indica che nulla è immobile, noi continuiamo a sfilare quieti sapendo bene dove sta la ragione e giunti alla basilica del Santo dei poveri la piazza si concede due minuti di silenzio che permettono a tutti di sentire, portato dal vento che all’improvviso ci attraversa, il dolore di tutte le genti del mondo vittime di guerra.

Lascio la Basilica e, scendendo verso Santa Maria Degli Angeli, mi trovo contrario al flusso di persone che ininterrotto sale ancora verso Assisi e in questo incedere controsenso leggo la metafora di questa presenza.

Cerchiamo da sempre un senso al nostro esistere e nel sapere quanto sia utopica la risposta, dovremmo essere uniti almeno nella ricerca della felicità quotidiana. Sembra invece che il potere appaia più seduttivo, inebriante nella sua ossessiva ricerca di un predominio qualunque, territorio, mercato, pensiero.

In ogni fede, in ogni ambizione umana o divina, la felicità non coincide col potere, la violenza non convive con l’amore e ogni paradiso immaginato è un luogo pacifico.

Insieme a questa gente porto a spasso l’ingenuità della ragione. Non sappiamo forse analizzare a fondo equilibri e assetti internazionali, ma che lo scandalo di ogni guerra palesa agli uomini solo la parte più oscura della loro anima, qui in Umbria lo sappiamo tutti, e ci unisce.

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