di Francesca Radaelli
È stata una giornata intessuta di parole, di racconti e di proposte quella che si è svolta ieri all’Urban Center del Teatro Binario 7 di Monza. Una giornata che ha dato spazio e voce a tante piccole storie che ne raccontano una grande, grandissima, e rivoluzionaria. Raccontano di come sia davvero possibile realizzare un mondo di pace nella quotidianità. Una giornata in cui sono state avanzate proposte che a molti sembreranno magari fuori dal mondo, visionarie e utopiche, ma che forse basterebbe solo un pizzico di buona volontà per far diventare realtà concreta.
Il tema era “Educare alla pace”, il sottotitolo “Il nutrimento delle coscienze”, l’occasione le celebrazioni della Giornata internazionale per la pace nel mondo organizzata dal’Onu, gli organizzatori UPF Monza, WFWP (Federazione delle Donne per la Pace nel Mondo) e il Comune di Monza. Si è parlato di sostenibilità, condivisione, dialogo inter- e intra-religioso, cura del pianeta e degli altri. Agli ‘appassionati’ relatori, per lo più rappresentanti di realtà religiose, politiche e associative, va il merito di essersi presentati all’appuntamento innanzitutto come persone, portando le proprie esperienze e le proprie idee con umiltà e disponibilità all’ascolto, in un clima costruttivo e aperto.
“Mai come ora Monza è chiamata a essere una città aperta, una città che sia ‘casa delle culture’, una città di pace”, ha detto il sindaco Roberto Scanagatti aprendo il convegno, dopo una prima introduzione a cura di Carlo Chierico ed Ettore Fiorina di UPF Monza. “Siamo tutti chiamati diffondere una cultura di pace, in una battaglia che deve essere condotta quotidianamente. Riconoscendo l’altro, il diverso, come soggetto con cui è possibile uno scambio importante: solo così possiamo fare davvero della diversità nutrimento per le coscienze”. Il riferimento è all’attualità e al territorio, alla questione dei migranti e dell’accoglienza, un problema che si inquadra in una situazione geopolitica globale che nel corso del convegno diversi relatori hanno definito “da Terza guerra mondiale”.
Ha condotto tutti quanti dall’altra parte del mondo Giuseppe Calì, presidente onorario UPF Italia, presentando Modadugu Vijay Gupta e Anota Tong, i vincitori del premio Sunhak Peace Prize, conferito dall’associazione a livello mondiale. Il primo, un biologo indiano, promuove l’acquacoltura come una soluzione alle crisi alimentari del mondo. Il secondo, presidente della repubblica del Kiribati, è impegnato a risolvere il difficile problema ambientale della sua isola, un atollo del Pacifico che l’oceano sta progressivamente sommergendo per effetto dei cambiamenti climatici. Due storie che hanno introdotto un argomento tra i più scottanti e urgenti del nostro tempo, che ha rappresentato accanto alla questione delle migrazioni internazionali e dell’incontro tra culture il secondo fil rouge della giornata: il tema della cura del pianeta e delle risorse naturali.
All’argomento è stata dedicata un’intera sessione – che ha visto gli interventi della deputata Maria Chiara Gadda, di Marzio Giovanni Marzorati di Legambiente e dell’insegnante buddista Marco Valli – ma di sacralità del creato e di futuro sostenibile si è parlato sin dall’inizio e a tutti i livelli, dalla religione all’economia. Con un focus particolare sul ruolo centrale dell’educazione, approfondito nella tavola rotonda più ‘politica’, quella moderata dall’assessore all’Istruzione del comune di Monza Rosario Montalbano, con gli interventi di Pierfranco Maffè, presidente dipartimento Istruzione ANCI Lombardia, Roberto Guerriero, consigliere provinciale di Monza e Brianza, e Martina Sassoli, consigliera comunale di Monza.
Il modello di sviluppo basato sul consumo sfrenato non solo mette in pericolo il futuro delle prossime generazioni ma non porta nemmeno ad essere felici. Lo ha illustrato – interpellato da Carlo Zonato, presidente UPF Italia – Stefano Bartolini, autore del Manifesto per la Felicità, mettendo a nudo la profonda infelicità in cui versa proprio quella società in cui questo modello ha trovato piena realizzazione. Ossia la ricca società americana, nella quale insieme al Pil sono cresciute vertiginosamente anche le dipendenze, le malattie mentali, i suicidi. In cui “si compra qualcosa di costoso e privato per sostituire qualcosa di gratis e comune”, in cui a generare spesa, quindi consumi, quindi crescita economica è il diradarsi delle relazioni sociali e di quei beni comuni che – e a dimostrarlo sono studi statistici oggettivi – sono gli unici a fare davvero la felicità. Se la ricerca di questa felicità, come sottolineato dagli esponenti del buddismo Marco Valli e Giovanna Giorgetti, è l’obiettivo che accomuna ogni uomo, forse allora sono proprio i beni comuni quelli più preziosi, quelli da ricercare.
Proprio “La cura di una casa comune” è il sottotitolo dell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco. Lo ha ricordato don Augusto Panzeri, responsabile della Caritas decanale: “La casa è la nostra, è a ciascuno di noi che il papa si rivolge. Non possiamo parlare della questione ambientale solo in astratto, guardando la televisione, siamo chiamati anche noi a camminare a piedi nudi sulla nuda terra, come san Francesco”.
Da persone che camminano è percorso il mondo intero. Migranti economici e migranti spirituali. E alla fine sono proprio le storie delle persone, le piccole storie evocate dai diversi relatori a rimanere impresse con maggiore forza. Da quella, raccontata da don Augusto, del libro sacro che passa di padre in figlio e costituisce l’unico bagaglio di chi lascia la propria casa per migrare in un altro paese (“un libro che non è la religione, ma dice la fede”), a quella di Louis Massignon, il “cattolico musulmano” precursore del dialogo tra cristiani e Islam, di cui ha parlato Yussef Sbai, vicepresidente Ucoi (Unione Comunità Islamiche d’Italia). Ma anche la storia del villaggio Nevè Shalom Wāħat as-Salām, l’ “Oasi della Pace” su territorio palestinese, in cui convivono volontariamente arabi e ebrei, raccontata da Pietro Mariani Ceriani, vicepresidente dell’associazione italiana Amici di Neve Shalom. E quella, portata da Mauro Sarasso, della Fondazione della Comunità di Malnate, impegnata a promuovere la cultura del dono in un piccolo comune in provincia di Varese che, dopo aver ottenuto il riconoscimento giuridico nel marzo 2015, ha già finanziato cinque progetti sul territorio.
“Dietro alla cultura della pace non c’è business, per questo è difficile trovare canali per diffondere la pace”, ha sottolineato Yussef Sbai. Se nel continente africano – come ha ricordato Beatrice Nicolini, docente di Storia e Istituzioni dell’Africa dell’Università Cattolica – tutto è solidarietà e condivisione, troppo spesso nella nostra società è invece la logica del denaro a guidare scelte e comportamenti. Spesso con i soldi si comprano anche le anime delle persone.
Eppure, considerando i problemi globali e le piccole storie individuali affiorate nel corso del convegno, viene da chiedersi se valga davvero la pena continuare ad attribuire tanto valore a ciò che si compra col denaro, a ciò che si compra per se stessi. Forse davvero lavorare per il bene comune rende più felici. Forse “diventare pace ed essere pace”, come ha invitato a fare Maria Gabriella Mieli, vicepresidente WFWP, vuol dire soprattutto fare del bene a noi stessi.
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Eccellente lavoro per la pace chiare le info con stima Franco7
GIORNATA MOLTO INTERESSANTE ,RELATORI MOLTO PREPARATI ,E PROPOSTE TANTE BELLE IDEE PER LA PACE NEL MONDO !
Molto interessante ed educativo necessita continuare nel educare ogni cittadino a sentire vero il valore di essere fratelli di un unica famiglia con un solo Padre bravi