di Francesca Radaelli
Moriva il 10 dicembre 1936 a Roma Luigi Pirandello, grande scrittore siciliano e creatore del ‘teatro dello specchio’. “Sia lasciata passare in silenzio la mia morte.
E nessuno m’accompagni, né parenti, né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me”. Queste parole, che ricordano tanto l’atmosfera di uno dei suoi romanzi, Uno, nessuno, centomila, costituiscono il testamento di uno dei maggior autori italiani del Novecento, insignito nel 1934 del Premio Nobel per la Letteratura “per il suo ardito e ingegnoso rinnovamento dell’arte drammatica e teatrale”.
Pirandello era nato a Girgenti (Agrigento) nel 1867, da una famiglia borghese di condizioni economiche agiate, impegnata nel commercio e nell’estrazione dello zolfo. Dopo gli studi universitari a Bonn, si trasferì a Roma, dove fu introdotto negli ambienti letterari dal conterraneo Luigi Capuana e sposò la ricca Maria Antonietta Portulano, figlia di un socio del padre, da cui ebbe tre figli. Fu un matrimonio concordato, ma dopo le nozze i due si innamorarono davvero e vissero quasi felici e contenti, finché un evento sfortunato piombò su di loro. Nel 1903 nella miniera di zolfo di Aragona, da cui dipendeva il loro benessere economico, si verificarono infatti una frana e un allagamento.
La famiglia Pirandello precipitò nella povertà e Antonietta iniziò a manifestare segni di squilibrio mentale, divenne gelosa in modo paranoico del marito, finché questi, esasperato, non si risolse a rinchiuderla in una clinica psichiatrica. Forse non è un caso che la follia sia uno de temi ricorrenti tanto nel teatro quanto nelle opere in prosa dell’autore. E forse fu anche la malattia mentale della moglie a far maturare in Pirandello curiosità e interesse verso le teorie della psicanalisi di Sigmund Freud, che ritornano più volte nei suoi romanzi e che ne influenzano non poco il pensiero.
Celeberrima è l’immagine della ‘vecchia imbellettata’, con cui Pirandello espone la poetica dell’umorismo, tipica della sua produzione letteraria, mettendo in luce la differenza tra ciò che è comico e ciò che è invece, appunto, umoristico:
“Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di qual orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. ‘Avverto’ che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa espressione comica. Il comico è appunto un ‘avvertimento del contrario’. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente, s’inganna che, parata così, nascondendo le rughe e le canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico”.
È proprio questa la filosofia che si ritrova alla base di molte rappresentazioni teatrali dell’autore, in bilico tra comicità e riflessione, con un gusto per l’ironia e il paradosso che spesso smascherano convenzioni e ipocrisie della società. E Pirandello si propone di rappresentare l’uomo come egli è, nudo, senza maschere, come davanti a uno specchio. Nascono così capolavori come Così è…se vi pare, con il contrasto tra suocera e genero e l’impossibilità di capire quale dei due stia dicendo la verità, oppure Il berretto a sonagli dove l’unica soluzione per salvare apparenze e prestigio sociale è fingersi pazzi. Non solo.
Con i Sei personaggi in cerca di autore Pirandello inaugura la fase del teatro nel teatro, con cui si attua un cambiamento decisivo anche nella rappresentazione scenografica, attraverso l’introduzione del palcoscenico multiplo. Il dramma, quando esordì al teatro Valle di Roma nel 1921, non ottenne esattamente un grande successo: al grido di “Manicomio! Manicomio!”, Pirandello fu pesantemente contestato dal pubblico. Eppure proprio questo lavoro è tra i più rappresentativi della poetica pirandelliana e, oggi, tra i più apprezzati in tutto il mondo.
Pazzia reale o presunta, convenzioni e contrasto ‘tra forma e vita’, conflitto dei punti di vista e sconfitta della verità di fronte al relativismo, gusto per il paradosso e il grottesco si ritrovano anche in molti dei romanzi e delle novelle dello scrittore, creatore di personaggi indimenticabili. Come il Fu Mattia Pascal, protagonista del primo successo letterario di Piradello, che pur di ricominciare una nuova vita si finge morto. Oppure come Vitangelo Moscarda, che dopo aver scoperto di avere il naso storto, si renderà conto di non essere solo ‘uno’, ma anche al tempo stesso ‘nessuno’ e ‘centomila’, come, in fondo siamo un po’ tutti.