di Enzo Biffi
Il fatto che al 21 marzo sia attribuita la Giornata Mondiale della Poesia, istituita dall’Unesco, immagino faccia riferimento soprattutto al senso di rinascita che ogni opera poetica, se compiuta, riesce a trasmettere in primis a chi la produce.
Verrebbe quindi da pensare che ai poeti stia particolarmente a cuore l’equinozio di primavera per l’ovvio romantico simbolismo ma, a dispetto del luogo comune, non c’è primavera o inverno che non assolvano all’urgenza espressiva del poeta.
La poesia non ha ne giorni ne occasioni, si disseta alla fontana della vita in ogni stagione e in ogni dove. Vola sopra le frontiere e ignora i confini dello spazio e del tempo – che sia sole o pioggia- è in grado di andare oltre le lingue e le differenze. Insegue un ideale di bellezza globale e necessario, proprio come lo sono certi istanti emozionali, certi vuoti apparenti, certi silenzi non scontati che esaltano l’essere a dispetto della nostra distrazione colpevole.
Cosi a molti sembrerà, di queste e altre leggerezze, di poterne fare a meno: la poesia per lo più appare lontana dal centro del vivere quotidiano ma, inconsapevolmente, ciascuno di noi ne è un portatore sano.
Penso al nostro agire, al solo stato di esistere che, se letto dagli occhi di un poeta, può essere trasformato in versi, canti, immagini e qualunque altro oggetto narrativo. Siamo quindi tutti noi che ispiriamo e portiamo a spasso le piccole cellule della materia poetica. Il poeta ne è solo il raccoglitore prima e il custode dopo.
Chi cerca la poesia soffre di urgenze espressive alle quali non riesce a non dar fiato, sono canti sommessi, disegni accennati, parole come pioggia e storie di nuvole. La poesia abita in loro perché continuamente ne vengono attraversati lasciando quella che ai più appare una ferita sempre aperta, mentre è solo la rappresentazione di una esigenza vitale, come il respiro, come il pensiero, come la passione.