Poi spuntò l’alba ed era il 25 aprile…

di Fabrizio Annaro

E’ un 25 aprile che cade in un momento travagliato. A distanza di 79 anni non si smorza la polemica, il conflitto, lo scontro. Questa volta è la parola “antifascimo” ad essere protagonista della dialettica politica. Una pagina di Storia ancora aperta. 

Giunge notizia, proprio da Monza, che l’opposizione, con esclusione del rappresentante di una lista civica, abbia abbandonato la seduta del consiglio comunale per non sentire le parole del monologo di Scurati, non mandato in onda dalla RAI, ma pubblicato da molti giornali e diffuso anche dalla pagina FB della nostra premier.

Un fatto spiacevole. Un alert che dimostra che le ferite sono aperte e le incompresioni ancora attuali, segno di una mancata riconciliazione nazionale.

Dovremmo prendere esempio da Nelson Mandela e dal processo di riconciliazione fra bianchi e neri dopo la caduta dell’apartheid. Mandela ha evitato un bagno di sangue, un’altra guerra civile perchè il perdono è la principale risposta dei neri a ciò che avevano subito durante l’apartheid. Molti afrikaner, giudicati colpevoli ma rei confessi, ricevettero l’amnistia. 

Anche Palmiro Togliatti, leader comunista, all’indomani della liberazione firmò, in quanto ministro della Giustizia, l’amnistia per tutti gli aderenti al partito fascista  incarcerati dai partigiani.

Credo che dobbiamo ritrovare le ragioni di quegli atti per tentare un cammino  di pace e di riconciliazione. Ma non c’è perdono e neppure riconciliazione se manca la verità. Anzittutto l’ammissione degli orrori del fascismo, il riconoscimento che la nostra repubblica e la nostra Costituzione nascono in favore della libertà, della democrazia, contro la dittaura e contro il fascismo. E poi l’ascolto delle ragioni di chi si riconosce o ha radice in quelle pagine.

E’ una “chiamata” che si ripresenta tutti gli anni e che investe principalmente i leaders dei principali partiti del nostro paese. Un appuntamento con la Storia che bussa alle porte di Giorgia Meloni e di Elly Schlein, in particolare ma anche ad oguno di noi.

Se questi leaders vorranno lasciare traccia e non essere soltanto uno fra i tanti nomi che compongono gli elenchi di presidenti del consiglio o di segretari di partito, questo è il momento!

Pubblichiamo il testo del monologo di Antonio Scuratti con l’auspicio che possa, malgrado le polemiche, essere l’inizio di una nuova pagina.

Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro.

Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania”. “In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati”. “Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via.

Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023).

Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana.

 

Poi spuntò l’alba ed era il 25 aprile… 

Giuseppe Colzani (partigiano)

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