di Laurenzo Ticca – fotografie di Giovanna Monguzzi e Stefania Sangalli
E’ difficile parlare del 1° Maggio oggi. Non tanto per le piazze vuote (ci penseranno le iniziative virtuali a tenere viva la memoria della Festa dei lavoratori) quanto perché tra le vittime del Covid 19 ( i decessi in Italia sono oltre 27.000) c’é anche il mondo del lavoro. Fabbriche chiuse, saracinesche abbassate, uffici vuoti, agricoltori che non riusciranno a portare a termine i raccolti, evocano una situazione che le cifre diffuse in questi giorni illustrano in modo drammatico.
Un’indagine condotta da Confindustria presso i propri associati segnala che oltre il 43% ha problemi molto gravi , il 53% dei dipendenti delle aziende intervistate potrebbe essere costretto a ricorrere agli ammortizzatori sociali. L’84% degli imprenditori che ha risposto alle domane di Confindustria segnala il rallentamento della domanda sul piano interno e internazionale.
Un quadro drammatico al quale si aggiungono la perdita di quote di mercato e le parole pronunciate ieri alle Camere dal Presidente Conte. Il Pil quest’anno crollerà a un meno 8%. Dietro questi dati ci sono uomini e donne destinati a perdere il lavoro, a chiudere le proprie aziende, nonostante gli sforzi che in Italia e in Europa saranno fatti per contenere gli effetti della crisi.
Non solo: con la forza devastante di una bomba, la pandemia si è abbattuta sul mondo del lavoro approfondendo il solco che separa i cosiddetti garantiti dai precari, da quanti lavorano in nero o a chiamata, saltuariamente. Si pensi al lavoro sommerso (piaga del paese) che garantiva a molti una qualche forma minima di sussistenza. O al lavoro in agricoltura in certe aree del nostro Sud. Schiavismo e sfruttamento brutale non sono termini abusati.
L’ Avvenire, nel marzo dell’anno scorso, segnalava che in sei anni, avevano perso la vita 1500 lavoratori extracomunitari impegnati nella raccolta di pomodori. 8 euro per 12 ore di lavoro e condizioni sanitarie di sopravvivenza bestiali.
Che effetto avrà il Covid 19 in mondi così lontani, circondati da una coltre di silenzio solo saltuariamente rotta da qualche notizia di cronaca? Fra pochi giorni celebreremo i 50 anni dalla approvazione dello “Statuto dei Lavoratori”. In quella legge si parlava di libertà e dignità, di norme sul collocamento e di attività sindacale.
Ecco. Il senso di questo Primo maggio potrebbe essere proprio questo: ricordare che ceto politico, forze sociali e imprenditoriali devono avvertire la comune responsabilità per il futuro del paese e che dignità, lavoro, diritti non sono conquiste garantite una volta per tutte.
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