Quando i grandi erano piccoli: Leonardo

testo di Luca Novelli  da  Giannella Channel

I biologi lo chiamano “lussureggiamento degli ibridi”. È quando gli individui di due varietà molto diverse della stessa specie si accoppiano: i figli nascono con caratteristiche esaltate rispetto ai genitori. Nel 1451 a Firenze niente può essere di più diverso e lontano del nobile notaio Ser Piero da Vinci e Caterina, una delle servette del ricco Ser Vanni, cliente di Ser Piero.

Caterina, poco più che bambina, era stata comprata come schiava a Venezia a un mercante mongolo. Forse Caterina è di nobile famiglia, forse è cinese, come ha ipotizzato il ricercatore Angelo Paratico in un libro diventato best seller in Estremo Oriente. Ma Caterina ha perso tutto, anche i ricordi della prima parte delle sua vita. Sicuramente è giovanissima e di fattezze delicate, una delizia per Ser Piero. Così accade l’inevitabile, le due estreme varietà si fondono e Caterina rimane incinta. Ser Vanni muore e Ser Piero, suo esecutore testamentario, porta la ragazzina che ha ingravidato nella casa di famiglia a Vinci. Qui, nella frazione di Anchiano, “nella terza ora della notte” del 15 aprile 1452 Caterina partorisce un luminoso bambino con lineamenti inediti e caratteristiche lussureggianti: è Leonardo.

Leonardo da Vinci, Autoritratto (1513 circa), Torino, Biblioteca Reale.

Il padre di Ser Piero, nonno Antonio annota tutto: quante olive sono state raccolte, quando il grano è stato trebbiato, quando un bue è venduto o quando un bambino come Leonardo nasce nelle sue proprietà. È grazie al suo “librone” che sappiamo a che ora e che giorno è nato il nostro indiscusso genio del Rinascimento. Per il resto Leonardo è uno dei tanti bambini che nascono in gran quantità nel XV secolo: rischiano di morire nei primi mesi di vita e chi sopravvive (se è povero o figlio di contadini) ha ben poco da aspettarsi dalla vita.

Lo status di Leonardo è questo. È figlio d’un nobiluomo e d’una serva d’incerta origine. È nato in una casetta, quella di Anchiano, sopra Vinci, che è in piena campagna e non è più confortevole di un pollaio. A Ser Piero non passa neppure per l’anticamera del cervello di regolarizzare in qualche modo il rapporto con Caterina, anzi, a Firenze sposa Albiera, figlia di un altro notaio. Caterina invece, per semplificare, vien data in moglie a un contadino di Vinci, tal Antonio di Pietro del Vacca, degno d’un soprannome che è tutto un programma: Attaccabriga. Caterina gli darà cinque figli, quattro femmine un maschietto, che non avranno certo l’affascinante vita di Leonardo.

Infatti Leonardo è un bambino speciale, splendente, che i nonni portano nella casa patronale di Vinci, lontano da Caterina e da una famiglia contadina che sta diventando ingombrante e affollata. Non lo fanno solo perché Leonardo è loro nipote. Ser Piero ne ha fatte di cotte e crude e ha sparso di figli mezza Toscana. Leonardo è uno dei tanti. Lo adottano perché i suoi occhi e il suo aspetto angelico li ha conquistati.

Nonno Antonio gli insegna a leggere. In casa ci sono libri non solo di legge e di conti, sono codici in verità, scritti a mano. Leonardo subito impara scrivere, anche se usa la mano sinistra. E disegna: sulla sabbia, sulla creta, su pezzi di legno. Suo zio Francesco, fratello minore di Ser Piero, è un po’ artista e gli offre i primi fogli di carta, materiale raro prezioso in questo secolo. Non se ne trova nella case dei poveri e dei contadini, ma il nonno è notaio e carta, penne d’oca e calamai non gli mancano.

La casa natale di Leonardo ad Anchiano (frazione di Vinci)

Zio Francesco lo guarda disegnare col carboncino. Così scopre il talento di questo strano bellissimo bambino e lo incoraggia. Francesco è più giovane e molto diverso da suo fratello Piero. È uno scapestrato, dicono i genitori, un bighellone che passa gran parte del suo tempo nell’osteria di Vinci, anch’essa proprietà della famiglia. Insieme, Francesco e Leonardo, esplorano le valli e le colline intorno a Vinci. Insieme visitano le chiese e le botteghe degli artigiani, dei vasai e dei fabbri, dove Leonardo incontra la tecnologia e gli ingranaggi che ritroveremo in molti dei suoi straordinari disegni.

Dove e quando li ha incontrati per la prima volta è un quesito che mi sono fatto più volte. Ero convinto che nella sua prima infanzia Leonardo avesse avuto una specie di imprinting tecnologico, qualcosa che lo ha segnato per tutta la vita. Leonardo, gran disegnatore di macchine e congegni, non cita mai questo suo primo illuminante incontro con perni, leve e ruote dentate. Eppure sappiamo molto della sua infanzia proprio grazie ai suoi appunti. Nel Codice Atlantico di suo pugno riporta persino un episodio risalente al primo o secondo anno di vita: “…ne la mia prima ricordazione della mia infanzia è mi parea che, essendo in culla, che un nibbio venissi a me e mi aprissi la bocca colla sua coda, e molte volte mi percotessi con tal coda dentro le labbra”. Questa frase sul nibbio, una specie di falco molto diffusa in Toscana, farà scrivere pagine e pagine a Sigmund Freud e ai suoi colleghi. Leonardo ha un rapporto -oggettivamente particolare- col sesso e i suoi simboli. Ad altri l’episodio del nibbio ha fatto intravedere una specie di profezia sul volo umano.

La Gioconda (1503-1506), Parigi, Museo del Louvre, capolavoro che ha reso Leonardo celebre nei secoli. Secondo Paratico, la Gioconda (Monna Lisa) potrebbe essere l’immagine onirica di sua madre, Monna Caterina (ipotesi già avanzata nel 1910 da Sigmund Freud).

Comunque il quesito del dove e quando avviene l’imprinting tecnologico mi sembrava senza risposta. Fino a quando non sono stato a Vinci. Dopo aver visitato i due musei, sono risalito a piedi fino alla casa natale di Leonardo. La località Anchiano è nel bel mezzo della collina coltivata, tra campi di grano, vigneti e oliveti ben tenuti. Ecco il paesaggio che ha visto Leonardo nei primi anni di vita. Solo questo? No. Mancava qualcosa. E un cartello fa capire cosa. La casa natale di Leonardo è a una quota maggiore del borgo che dista alcune centinaia di metri. Sotto di essa scorre un torrente che poi passa sotto Vinci. Il cartello dice: “Via dei Mulini“, anche se ora non si vedono mulini. I ruderi, se sono rimasti, sono nascosti dalla vegetazione. Ecco cosa mancava al panorama: i mulini, con le loro ruote e la forza dell’acqua che faceva funzionare tutto il mondo di Leonardo. Non solo mulini per macinare il grano o il frantoio per le olive, ma anche mulini che muovevano torni e ingranaggi, per battere il ferro, forgiare armi, fabbricare carta o segare il legno. Ecco, dove Leonardo li vede per la prima volta con i suoi strani occhi da bambino: sotto casa, tra Anchiano e la casa dei nonni.

Suo padre Ser Piero viene raramente a Vinci. Arriva col suo bel cavallo bianco e poi se ne va. Non c’è un vero rapporto padre-figlio con Leonardo. Il ragazzino è solo uno dei suoi tanti figli legittimi o illegittimi. Sono abbastanza per formare una squadra di calcio. Ma i disegni che gli mostra il fratello Francesco e la vivace intelligenza del ragazzo gli fanno prendere una decisione inaspettata e per lui generosa. Quando Leonardo compie quindici anni lo porta con sé Firenze: non certo per fare l’apprendista notaio, professione solo per nobiluomini doc. Gli fa frequentare la scuola dell’Abaco, dove si studia musica e geometria, ma anche grammatica. Senza molto profitto, secondo i suoi maestri, Leonardo non vorrà mai essere “uomo di lettere”.

Così, un giorno Ser Piero, raccolti i suoi disegni, lo porta nella mitica bottega di Andrea del Verrocchio. Sarebbe come portar oggi un adolescente nello studio di un archistar come Alessandro Mendini o Renzo Piano. L’atelier del Verrocchio è situato non lontano da Piazza della Signoria e fa di tutto: grandi dipinti per chiese, progetti di palazzi, statue di bronzo, gioielli, decorazioni, scenografie e persino allestimenti per funerali. Ci lavorano giovanotti di belle speranze come (due nomi a caso) Botticelli e Piero Vannucci, detto il Perugino. È una fabbrica dove si lavora duro, ma dove si respira una libertà di pensiero e di costumi non comune al resto d’Italia. Si mangia, si beve e si scherza insieme tra compagni di età diverse, tra emulazioni, competizioni e gelosie. S’impara a diventare “grandi”.

(Il battesimo di Cristo, particolare, Galleria degli Uffizi, Firenze). In questo dipinto di Andrea del Verrocchio, l’angelo di sinistra è curato da Leonardo che fu apprendista nella bottega del Verrocchio tra il 1469 e il 1470, e crescendo dimostrò sempre più interesse nel “disegnare et il fare di rilievo”

Quando Ser Piero mostra i disegni di Leonardo al Verrocchio, la sua “bottega” è la miglior scuola d’arte che ci sia al mondo. Leonardo viene accettato e come tutti i novellini comincia macinando pietre e miscelando colori. Poi imparerà e farà di tutto, fino a diventare un artista e un pittore finito.

Diventerà così bravo da essere incaricato della finitura  dei dipinti del Verrocchio stesso. Anzi, in un quadro famoso dove sono raffigurati due angeli (Il battesimo del Cristo, oggi alla Galleria degli Uffizi a Firenze), dipinge l’angelo di sinistra. L’immagine è bellissima ma anche ambigua, cosa che farà infuriare il maestro Verrocchio, per invidia, è stato scritto. Ma sensualità, ironia e persino un clamoroso scherzo all’interno della Storia dell’Arte potrebbe raccontare questo particolare, che poi fa parte di una immagine sacra. Meriterebbe un discorso a parte. Un bel tipetto, Leonardo ragazzino.

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