di Laurenzo Ticca
Perché ricordare oggi Giovanni Giolitti (nato il 27 ottobre del 1842 e morto il 17 luglio del 1928)? Perché legò il suo nome ai primi anni del Novecento?
Al tentativo di fare dell’Italia una potenza industriale e coloniale? Per la sensibilità dimostrata di fronte ai fermenti sociali dell’epoca (la nascita del movimento dei lavoratori, i grandi scioperi e la decisione di non reprimerli nel sangue?). Per la sua capacità di padroneggiare la politica anche con mezzi illeciti? (Gaetano Salvemini lo avrebbe definito il ministro della malavita). Per tutto questo, certo, ma anche perché la sua parabola politica ha qualche insegnamento da offrirci per comprendere meglio il nostro tempo.
Per cogliere i risvolti, i possibili esiti di una stagione in cui la demagogia becera, l’inconsistenza intellettuale di certi leader, la ricerca di un capro espiatorio, di un nemico a tutti i costi , il disprezzo delle procedure democratiche, della separazione dei poteri, possono compromettere l’architettura liberale su cui si regge la Repubblica?
Giolitti governò in anni in cui nel paese fermentavano i miti della sinistra rivoluzionaria e della destra nazionalista. Lo statista piemontese era contrario alla entrata in guerra dell’Italia (ne conosceva la debolezza e i limiti sul piano militare). Era convinto che il paese avrebbe potuto ottenere di più trattando con l’Austria la cessione di territori in cambio della neutralità. Disegno destinato a fallire per le resistenze dei liberali conservatori ( come Luigi Albertini, direttore del Corriere della Sera) di Salandra , Sonnino, di uomini come Giovanni Gentile e per ragioni del tutto opposte di molti sindacalisti rivoluzionari. A favore dell’intervento si schierano i nazionalisti (oggi diremmo sovranisti ). Il giovane Mussolini dalle colonne de “Il Popolo d’Italia” sparò a palle incatenata contro Giolitti . In quell’ex redattore de “l’Avanti” convertito al patriottismo molti videro l’ “uomo nuovo” capace di restituire dignità e onore al paese. Contro i riti della vecchia politiche, contro le logore alchimie parlamentari , contro l’imbelle paralisi delle classi dirigenti.
Nel maggio del ’15 Mussolini scriveva: “Per la salute del’Italia bisognerebbe fucilare nella schiena qualche dozzina di parlamentari“. E ancora : “Credo con fede sempre più profonda che il Parlamento sia il bubbone pestifero che avvelena il sangue della Nazione. Occorre estirparlo.”
D’Annunzio avrebbe invitato i romani a insorgere contro il Parlamento. In in discorso tenuto a Roma sempre nel maggio del ‘15, il poeta avrebbe invitato gli interventisti a formare “drappelli” e “ pattuglie civiche” per distribuire calci e ceffoni ai traditori della patria. Giolitti in testa . Per concludere: l’esaltazione del nuovo contro il vecchio , l’attivismo muscolare di chi finalmente “ batte i pugni”, la costituzione di ronde, il disprezzo per la politica senza alcuna distinzione, l’odio per le istituzioni. Non vi dice nulla?
Forse il decennio giolittiano ha qualcosa da insegnarci. Forse per questo Giolitti va ricordato.