Erano le 15.03 in Italia, le 9.03 a Manhattan quando il secondo Boeing 767 della United Airlines si schiantò sulla Torre sud del World Trade Center. Alle 8.46, ora locale, c’era stato il primo impatto contro la Torre nord. A distanza di 15 minuti esatti il mondo assistette in diretta allo schianto del secondo aereo. In quel quarto d’ora, le televisioni americane con sede a New York avevano già puntato le telecamere sulle Torri Gemelle. Fino a un minuto prima delle 9.03, tutto il pianeta pensava a un drammatico incidente. Che vide in diretta, come chi scrive, il secondo schianto sugli schermi collegati con CNN, la prima domanda fu: ” Che cosa sta succedendo?”. Un putiferio, un disastro senza precedenti, uno dei più gravi attacchi terroristi dell’età contemporanea. Quattordici anni fa morirono 2977 vittime innocenti, 19 dirottatori, non furono mai ritrovate 24 persone. I feriti furono 6294 di cui 104 al Pentagono. Quella maledetta mattina dll’11 settembre 2001, 19 terroristi legati ad Al Qaeda dirottarono quattro aerei di linea, due finirono contro le Twin Towers, uno si abbatté contro il Pentagono, sede del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, cuore nevralgico, massima istituzione della protezione militare di quel paese.
Il quarto aereo avrebbe dovuto colpire il Campidoglio, ma precipitò in Pennsylvania. Erano le 10.03, ora locale. Alle 9.59 era crollata la prima Torre dopo un incendio durato 56 minuti. Alle 10.28 crollò la seconda Torre. I detriti danneggiarono anche un altro grattacielo, il 7 World Trade Center, che collassò definitivamente alle 17.21 locali.
Una catastrofe di proporzioni immani, “un’altra data che vivrà nell’infamia” commentò il presidente americano George W. Bush citando il Presidente Roosevelt a proposito di Pearl Harbour. A quattordici anni da quella tragedia, ancor oggi si lavora per sistemare quella parte di Manhattan.
Un atto di guerra firmato da Osama Bin Laden e dai suoi sottoposti. Una “fatwa” che dichiarava fosse “dovere di ogni musulmano uccidere gli americani in qualsiasi luogo della terra”. Gli Stati Uniti d’America e il suo popolo erano (sono?) considerati causa di iniquità e di ingiustizia per tutto il mondo che credeva in Allah.
Che conseguenze ebbe quell’attacco terroristico?
Quattordici anni dopo l’attentato epocale alle Torri Gemelle l’America non è più alle prese con massicci spostamenti di truppe, bollettini di vittime aggiornati quotidianamente dai media, maltrattamenti di prigionieri o ricerca di introvabili arsenali chimici.
Ciò è dovuto sia a ragioni di opportunità, anche economica, sia alla diversa impostazione della politica estera dell’attuale amministrazione americana più orientata alle risoluzioni diplomatiche delle tensioni.
Su questo terreno sono stati ottenuti due importanti successi sulla via della pace e dei buoni rapporti internazionali, riattivando le relazioni diplomatiche con Cuba e tessendo la tela che ha portato all’accordo con Teheran sul nucleare.
Meno pressato dall’ondata emotiva che seguì l’attentato del 2001, Obama ha potuto attuare una politica di discontinuità con la precedente strategia della guerra globale al terrore che portò al massiccio intervento militare prima in Afghanistan e poi in Iraq.
Proprio la mancata stabilizzazione definitiva dell’Iraq, dopo enormi sforzi in termini di vite umane e di investimenti da parte degli Stati Uniti è un elemento che ha spinto Obama a congelare ogni opzione di intervento diretto in campo militare pur mantenendo un ruolo di primo piano in termini di investimento tecnologico e supporto.
E’ in Iraq che cambiano gli equilibri nel campo del terrorismo jihadista, con il passaggio di consegne tra la “casa madre” Al-Qaida e la filiale locale divenuta in seguito tristemente nota come Stato Islamico (oggi Isis). Anche se non è corretto dire che Al-Qaida sia sparita definitivamente perchè la stessa ideologia qaidista ancora ispira molti gruppi jihadisti locali in Africa e nel Vicino Oriente, è diventata assoluta protagonista mediatica la ferocia e la barbarie dell’Isis che ha acuito il suo potere instaurandosi anche nella Siria impantanata ormai da anni in una guerra tra il regime di Assad, una galassia di gruppi ribelli e non ultimi i curdi.
Proprio i curdi, che sono fra i più strenui antagonisti all’avanzata dell’Isis, rappresentano una pedina chiave nello scacchiere geo-politico. Sono da sempre un problema per la Turchia e questo spiega almeno in parte la strategia del presidente Erdogan che per molti mesi ha mantenuto un atteggiamento di attesa di fronte all’avanzare della guerriglia jihadista.
E la Turchia è da sempre vista come un attore chiave nella regione da parte degli Stati Uniti.
Mentre i giocatori ragionano sulla pedina da muovere, i nuovi barbari di nero vestiti tengono in scacco l’umanità premurandosi di sbriciolare templi millenari con trenta tonnellate di esplosivo. In una spettrale continuità con quanto facevano quattordici anni fa i Taliban in Afghanistan demolendo le antichissime statue dei buddha giganti.