Quello che i sogni ci dicono

di Francesca Radaelli

I sogni come enigmi da risolvere. Geroglifici da decifrare. Inquietanti sfilate di carnevale da smascherare. Stefano Massini ha portato sul palco del Teatro Manzoni di Monza “L’interpretazione dei sogni”, uno spettacolo dedicato alla figura di Sigmund Freud e al viaggio dello psicanalista austriaco dentro il mondo onirico, alla ricerca di un metodo per scoprirne il senso profondo. Un lavoro di grande impatto e profondità, che mette in scena alcuni spunti contenuti nel romanzo quasi omonimo “L’interpretatore di sogni” pubblicato dallo stesso Massini nel 2017.

Fotografia di Filippo Manzini

Unico attore in scena, a “interpretare” inizialmente un narratore esterno e poi sempre più calandosi nei panni dello stesso Freud, Stefano Massini, muovendosi avanti e indietro sul palco, entra ed esce dal grande occhio che domina lo sfondo della scena. Un occhio impegnato nella messa a fuoco di una visione che vada al di là della forma superficiale delle cose. L’occhio con cui Sigmund entra nella testa delle persone, come afferma candidamente la bambina figlia dello psicanalista descrivendo il lavoro del padre. L’occhio a partire dal quale prendono forma le immagini da decifrare, quelle immagini che popolano i sogni ricorrenti e ossessivi, che fanno paura, davanti a cui si cerca istintivamente di fuggire.

L’occhio di Freud invece punta lo sguardo al cuore di quelle immagini, di quegli indizi misteriosi che nascondono la verità ma al tempo stesso la esibiscono visivamente a chi sappia leggerli. E tutto parte dai suoi, di sogni.

È il sogno di Sigmund il primo enigma da sciogliere.

Un ristorante pieno di stoffe, con pareti fatte di tende, dove i piatti sono vuoti per chi ha fame, il grido “io non sono un  cliente qualunque” e, di fronte a un cocchiere, le mani legate che impediscono di condurre carrozze. È questo, il suo, il primo sogno che Freud riesce a interpretare, grazie al coraggio di guardare in faccia la verità dentro di sé. Una verità in cui il suo presente si sovrappone alla figura di suo padre, ma anche alla fotografia vista su un giornale che ritrae l’arresto di un uomo che ha assassinato i propri figli.

Da qui prende le mosse il percorso che trasforma Freud in un vero e proprio investigatore dell’inconscio, che indizio dopo indizio riesce a scalfire la “corazza” dei suoi pazienti e trovare la verità che sta dietro i simboli che popolano le paure, gli incubi e i sogni di ciascuno.

Una verità che sta nei desideri non espressi ma presenti dentro di noi. La voglia segreta di “tradire” la propria immagine pubblica di professionista di successo, tornando ad essere un bambino. Il desiderio ossessivo di resistere allo scorrere del tempo, in una guerra destinata alla sconfitta. Il richiamo a lasciarsi andare, a scucirsi, a contaminarsi con il mondo, a vivere. Sono solo alcuni dei desideri nascosti in quei sogni che Freud riesce a decifrare grazie a un metodo investigativo che si affina sempre di più, paziente dopo paziente, enigma dopo enigma.

A sottolineare drammaticamente il progressivo svelamento dei simboli da parte dell’interpretatore – detective, le musiche di Enrico Fink eseguite magistralmente dal vivo da Saverio Zacchei, Damiano Terzoni e Rachele Innocenti.

Non tanto un teatro del sogno, piuttosto un teatro dell’indagine e dello svelamento è andato in scena di fronte al folto pubblico che ha riempito gli spalti del Manzoni nella replica di sabato 27 gennaio, tributando un lungo e ammirato applauso al termine dello spettacolo.

Chiuso il sipario, restano i sogni non decifrati: i nostri, quelli che raccontano qualcosa di noi che forse ancora non sappiamo.

Forse è questa la sfida lanciata a tutti da Massini-Freud. La sfida a dare attenzione ai nostri sogni notturni e alle nostre paure diurne. A iniziare a guardarli con occhi diversi.

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