di Francesca Radaelli
“Questa sera i Marcido hanno deciso di travolgere Monza con il Teatro”. Forse sta tutto in questa frase il valore della serata di venerdì 4 maggio, in cui al Teatro Manzoni è andata in scena la prima regionale lombarda di ‘Lear, schiavo d’amore’, ultima creazione della compagnia torinese Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, basata sulla riscrittura del testo shakespeariano da parte di Marco Isidori, regista, attore, fondatore e anima della compagnia torinese.
La frase, pronunciata da uno degli attori, Paolo Oricco, durante il momento di dialogo e confronto con la platea successivo alla rappresentazione, ben sintetizza lo stato d’animo di buona parte del pubblico in sala. Un pubblico magari abituato – o che si sta abituando, nel caso dei giovani studenti del Corso di Critica teatrale presenti in platea – a frequentare i teatri e il Teatro, ma un po’ meno abituato a esserne travolto (o ‘trasformato’, per utilizzare un’altra immagine impiegata dagli attori).
Del resto, sarà difficile dimenticare il grande ‘sottomarino volante’ che ha campeggiato sul palcoscenico per tutta la rappresentazione, opera del genio visionario di Daniela Dal Cin, la scenografa e costumista che è uno dei pilastri fondanti della compagnia dei Marcido. Un apparato scenografico che, cigolando, si è aperto e richiuso sulla tragedia di Lear, popolandosi di personaggi ipercinetici che gli spettatori hanno osservato spuntare e scomparire agilmente, come marionette in un teatrino, attraverso le botole e i passaggi della immaginifica struttura scenica. Un vascello storto con cui attraversare una tempesta vera e propria, quella della grande tragedia shakespeariana costruita sulla figura dell’anziano re Lear. La tragedia della vecchiaia e della follia, dell’amore e del potere, della falsità delle parole e della verità dei sentimenti.
Non è un caso che proprio nel mezzo della tempesta, che nel testo shakespeariano coincide con lo sprofondamento nella follia del vecchio re, la rappresentazione venga sospesa per un attimo, si accendano le luci in sala e l’Attore,o meglio tutti gli attori, si pongano vis-a-vis con il loro pubblico: “Noi che il palco ci fa casa/ spesso spesso ci chiediamo/ quale scopo generale/ abbia questo nostro agire/ oltre all’ovvio e al mercantile”. Un Teatro della Battaglia, e non della rappresentazione, è quello che i Marcido vogliono perseguire, come scrive Marco Isidori nell’introduzione alla sua riscrittura del testo shakespeariano.
Un’idea di teatro che è in fondo il filo conduttore dell’intero svolgersi scenico dello spettacolo, in cui la riflessione metateatrale ‘a luci accese’ ben si inserisce nel flusso delle interpretazioni esasperatamente anti-naturalistiche degli attori – tutti ottimi, e tra cui spiccano in particolare Maria Luisa Abate (nei panni di Gonerilla/Gloucester ), presenza ‘storica’ della compagnia, e lo stesso Paolo Oricco (Edmondo/ Edgardo) dalla fisicità davvero sorprendente.
Il dramma di Lear e Cordelia, di Gloucester e Edgardo, delle figlie ingannatrici e del figlio malvagio, travolge il pubblico con un caleidoscopio visivo e uditivo di scenografie in progressivo smantellamento, di maschere e costumi sorprendenti, di movimenti e parole disorientanti. In tutto questo si incarna l’essenza del Teatro secondo una delle compagnie più originali del panorama nazionale, promotrice di un teatro di ricerca, o meglio come detto ‘di battaglia’, che le è valso innumerevoli premi (tra cui Premio della Critica 2009 e due volte il premio Ubu per le scenografie nel 2003 e nel 2009).
Una compagnia che Paola Pedrazzini, direttrice artistica del Manzoni di Monza, ha voluto a chiusura ideale della stagione 2017/18 di Altri Percorsi, la programmazione che da due anni a questa parte scorre parallela alla tradizionale Grande Prosa del teatro monzese. In questa cornice sono approdati per la prima volta a Monza artisti e compagnie di estremo interesse artistico nel panorama teatrale italiano, dal Teatro del Carretto ad Ascanio Celestini, da Le Belle Bandiere ad Alessandro Bergonzoni…sino all’originalissima proposta dei Marcido. E alla forza dirompente e travolgente del loro Re Lear.