Venerdì si è tenuta la nostra riunione di redazione e abbiamo ricevuto la buona notizia che il nostro giornale on-line, Il Dialogo di Monza, sta riscuotendo un discreto e crescente successo e voglio ringraziare i nostri lettori a nome di tutti noi. Poi, quasi per caso, dato che eravamo a SLAncio, abbiamo parlato del rapporto tra malati e società. L’argomento ha preso spunto perché si è parlato del fatto che visitare SLAncio può essere impegnativo.
La nostra instancabile e sempre piena di risorse, Rita Liprino, presente anche lei alla riunione, spesso mi presenta nuove persone alcune famose altre meno. A me fa sempre piacere conoscere nuovi amici, ne ho conosciuti tanti in questi anni e non mi hanno mai deluso.

Ma ci siamo chiesti come vivono questa esperienza le persone che entrano per la prima volta a contatto col nostro mondo e quali siano le loro reazioni. Non solo. Ci siamo anche domandati come i malati vivano la loro condizione.
Sì, perché ci vuole un pò di coraggio per conoscere delle realtà come la nostra. La vicinanza alla sofferenza, infatti, non piace alla nostra società che si è abituata al culto del bello e del perfezionismo e che si è dimenticata dei problemi veri, quelli legati a chi non ce la fa, ai bisognosi, agli anziani e ai malati.

Tutte queste categorie di persone sono state via via dimenticate ed escluse dal nostro modo di vedere le cose. Una volta, fino a qualche decennio fa, le famiglie erano abituate ad accudire gli anziani e i malati in casa e nessuno pensava a doversi “liberare” frettolosamente da questi ostacoli ad una vita senza impegni scomodi.
Oggi è diventata quasi una normalità e voglio essere provocatorio: ci si “libera da queste incombenze” come ci si “libera dagli animali domestici” per andare in ferie o, semplicemente, quando ci si stanca. Queste pessime abitudini sono dettate da una cattiva cultura che sorprende tutti nel momento del bisogno perché, senza voler fare il menagramo, è un destino che interessa tutti. Il tempo passa per tutti e si invecchia oppure ci si può ammalare, diventando noi stessi vittime dei nostri pensieri.
Queste abitudini conducono a fuggire dai nostri doveri morali e spingono a nasconderci quando perdiamo il nostro fascino, quello di possedere un fisico perfetto e funzionante, completamente autonomo e ci fa vergognare di noi stessi quando perdiamo queste caratteristiche.
È un problema che lascio a voi lettori considerare.
Luigi Picheca