di Daniela Annaro
Il celebre artista tedesco, Christian Megert, espone per la prima volta presso la Galleria San Fedele di Milano. Membro storico del celebre Gruppo Zero, che tra gli anni ’50 e ’60 riuniva artisti europei legati da vincoli di amicizia e di comune sentimento dell’arte con una curiosità animata da «un’energia liquida», pone al centro della sua ricerca lo specchio quale mezzo artistico primario.
Lo specchio non è mai un puro dato tecnico, un semplice strumento, ma ha una profonda valenza simbolica, come quando ci specchiamo e abbiamo la sensazione di uno sdoppiamento. A quale immagine rimanda? A quale spazio dà origine?
Le opere dell’artista tedesco sono costituite da specchi capaci di creare dimensioni inedite, fatte di continui movimenti e di riflessi. Parlare di specchi significa indagare come la luce agisce sulla superficie. Non solo. Nel momento in cui l’artista accosta specchi gli uni vicino agli altri, con angolature diverse, la visione del mondo esterno risulta frantumata in una molteplicità di sfaccettature, secondo i diversi punti di vista, di movimenti della luce.
Se l’immagine rinascimentale si origina a partire dal punto di vista monoculare da cui è possibile contemplare il mondo secondo una visione unitaria, al contrario, Megert compie una riflessione sulla frammentazione.
È questo un invito a considerare la realtà in tutte le sue complessità, a considerare il mondo secondo una destrutturazione dell’immaginario individuale e collettivo dell’uomo contemporaneo?
Quali sono infatti i punti di riferimento, se il reale si moltiplica all’infinito, se lo spazio si decompone indefinitamente? Grazie agli specchi, un mondo continuamente nuovo emerge alla vista dello spettatore. Tuttavia, Megert non ci lascia nell’indeterminato, ma ci accompagna in vista di una ricomposizione del reale attraverso la combinazione di elementi geometrici, come il quadrato, il cerchio, forme pure altamente simboliche, in grado di ridare unità e coerenza.
In questo senso, Megert si pone come un grande interprete dell’Occidente, nella sua capacità di mettere in dialogo la pars destruens con la pars costruens, distrugge per ricostruire, pone in discussione le nostre certezze per riconoscere nuovi significati, per farci vivere nuove esperienze. È questa ricerca sempre provvisoria, temporanea, che rivela un profondo fermento, un desiderio profondo di sperimentare nuovi orizzonti e nuovi significati nel mondo attorno a noi.
In concomitanza sarà inaugurata nella Chiesa di San Fedele un’installazione “site specific” permanente, tra l’abside e la Cappella delle ballerine, continuando l’inedita sperimentazione di arte contemporanea in uno spazio sacro.