di Alfredo Somoza
L’adesione all’euro dell’Italia avvenne in momento storico nel quale la speculazione internazionale sulla lira, moneta debole dopo decenni di inflazione e soprattutto moneta di un paese fortemente indebitato, metteva a rischio la stabilità macroeconomica del paese. Le critiche che si possono fare alla decisione di aderire all’euro riguardano il cambio tra lira e euro, che poteva essere più vantaggioso per l’Italia, e la mancanza di “ratifica” popolare della scelta. Non sicuramente la scelta in se: un’Italia che non avesse potuto o voluto agganciarsi all’euro sarebbe probabilmente fallita. E il rischio fallimento, dal momento che il debito pubblico è ancora più alto di allora attestandosi al 133% rispetto al PIL, continua a pendere sulla nostra testa nel caso in cui per un qualsiasi motivo l’Italia dovesse uscire dall’euro. In tal caso, il costo del nostro debito, cioè gli interessi che l’Italia tornata alla lira dovrebbe pagare per riuscire a vendere i propri bond sarebbe totalmente insostenibile, sommato alla sicura ripresa inflazionistica dovuta all’emissione di moneta senza più vincoli. In uno scenario del genere, chi ad esempio ha contratto mutui in euro vedrebbe salire in modo astronomico il proprio debito e chi invece ha un patrimonio consistente lo porterebbe all’estero oppure lo convertirebbe in moneta forte. Insomma, un’Italia senza più l’euro è quasi sicuramente un’Italia in default, senza più sanità e scuola gratuita, senza più pensioni sociali e con le altre pensioni ridimensionate, con indici di disoccupazione oltre il 20%. Un’Italia in default sarebbe infine un paese con ricchi più ricchi, poveri più poveri e nel quale i ceti medi sarebbero un ricordo del passato. Chi propone l’uscita dall’euro per risolvere i problemi dell’Italia è nel migliore di casi ingenuo, nel peggiore consapevole piromane di una delle poche certezze della nostra economia e dell’ancora incompleta costruzione europea. Oltre l’euro per l’Italia ci sarebbe solo il caos.
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