La rovesciata

rovesciata
di Aldo Germani

Hanno perso palla, l’ha recuperata Gianluca e ha allargato per Enzo, che vola sulla fascia col poco fiato che ancora gli resta. Tu sei dalla parte opposta, lontano quanto basta per non provarci, ma molli la marcatura e decidi di seguire l’azione. L’urlo che senti, appena inizi a correre, non è  l’incitamento di un tifoso, è il mister che s’incazza.

Tatticamente ha ragione, è inutile scoprirsi in quel modo: se attaccate già a destra tu copri a sinistra e stai pronto a tagliare se serve. Inappuntabile, perfetto. E infatti state ancora 0-0. Quegli schemi collaudati funzionano, se non vuoi perdere. Basta ridurre al minimo i rischi, come ti insegnano da che sei al mondo: non toccare che scotta, chi troppo vuole, fai il tuo dovere, non ti allargare. È una questione di metodo e di diligente consuetudine.

Eppure sei partito lo stesso, per l’istinto suicida con cui spesso ti inventi una giocata imprevista e poi finisce che ti metti da solo nei guai. Vuoi vincere, giochi per questo, a costo di perdere. Il mister non la pensa così.

Che male c’è a pareggiare? Un punto per uno, è meglio di niente. Equo, semplice, lineare.

Se non fai il tifo, spesso il calcio è una noia mortale.

Corri in uno spazio aperto di campo, inseguito dall’avversario che in realtà dovevi curare. Gli hai preso due metri e restano quelli; non è più veloce di te, soprattutto ora, a fine partita. Ci sono ancora quaranta metri tra te e la porta e intanto Enzo continua a seminare avversari. Forse va in porta da solo, forse non serve nemmeno che ti faccia vedere. Anche perché non sa che sei lì, è un altro il tuo posto: che ci fa un terzino in attacco? Il mister si sta sgolando e sai che la prossima la salti. Non lo sopporta quando improvvisi, quando fiuti la pericolosità di un’azione e ti spingi oltre il confine assegnato per vedere l’effetto che fa essere dove nessuno si aspetta di vederti giocare.

Quando Enzo alza la testa e ti vede lì in mezzo non ci pensa due volte. Fa partire un cross lungo, per scavalcare gli ultimi due difensori, e poi lasciarti inventare. Tre secondi all’impatto: non hai tempo di pensare a quale sia la giocata migliore. La palla spiove alta, a bordo di una traiettoria che promette di passarti appena poco sopra. Forse non è la curva giusta per colpirla al volo, ci sono certo parabole migliori, ma ora è lì. Alzi prima il destro perché sei mancino: non è una finta, è l’equilibrio che devi perdere per volare. Butti indietro la schiena, come quando hai imparato a darti la spinta sopra un’altalena, e stai sdraiato in aria il tempo che ti occorre a sforbiciare.

L’hai provata tante volte, l’hai immaginata fantasticando un gol spettacolare, non sai se funzionerà, ma questo non è mai stato un motivo sufficiente per impedirti di fare qualcosa. Il mister non urla più e sembra stare zitto anche il resto della truppa a bordo campo. Da che sei in volo, se ne stanno col fiato sospeso a chiedersi come ti è venuto in mente. Correggi il colpo negli ultimi istanti, cerchi il tempismo perfetto, speri nel vento, chiudi gli occhi e attendi il rumore di qualcosa dopo la rovesciata. Un boato o il nulla. Il tempo che ci metti a cadere è lo stesso che occorre al pallone per raggiungere la porta. Ti schianti a terra e non senti il palo. Enzo ha le mani nei capelli e ti guarda stupito. Questa volta non hai vinto. O forse invece sì.

www.aldogermani.it

 

image_pdfVersione stampabile