di Francesca Radaelli
“Noi vogliamo la pace” era il titolo del terzo incontro del ciclo “Beati i costruttori di pace” organizzato da Caritas Monza lo scorso lunedì 17 aprile. Un titolo ripreso dall’appello dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini, che ha raccolto in questi mesi decine di migliaia di adesioni per la pace tra Russia e Ucraina.
Ma le istituzioni religiose, tutte, e i popoli coinvolti nel conflitto vogliono davvero la pace?

Ce lo si è chiesto ascoltando le testimonianze dei due ospiti della serata, monsignor Francesco Braschi, vice prefetto e dottore della Biblioteca Ambrosiana, e il diacono Roberto Pagani, responsabile del Servizio per l’Ecumenismo e il Dialogo della Diocesi di Milano. Stimolati dalle domande e dalle considerazioni di Fabrizio Annaro, moderatore dell’incontro, i due relatori hanno aperto una finestra sul mondo dei rapporti tra le chiese dell’Europa orientale e tra Chiesa e Stato in Russia e Ucraina. Illuminando aspetti religiosi, culturali, politici e ideologici che caratterizzano il mondo russo e ucraino e che spesso risultano difficili da conoscere e comprendere nei paesi occidentali.
Qui il video completo dell’incontro:
La chiesa ortodossa di Mosca e il rapporto con la Russia
Uno di questi aspetti è l’idea di legame stretto tra Chiesa e stato-nazione che si manifesta spesso nelle dichiarazioni ufficiali del patriarca Kirill della chiesa ortodossa di Mosca ed è alla base del sostegno della Chiesa russa all’invasione dell’Ucraina. “Di fronte a parole come queste è inutile scandalizzarsi o considerarle folli”, sottolinea Monsignor Francesco Braschi, “poiché discendono da una narrazione della storia russa diversa da quelle a cui siamo abituati e da un’idea del ruolo della Chiesa nello Stato che si è sviluppata secondo direttrici diverse da quelle dell’Occidente”.

La storia vista dai russi
Allo stesso modo, spiega mons. Braschi, la lettura del decennio 1991-2000 è in Russia molto diversa dalla nostra: “Quelli successivi al crollo dell’Unione Sovietica non sono considerati oggi, in Russia, anni di apertura e libertà, ma anni di catastrofe. La caduta dell’URSS e la Rivoluzione di ottobre del 1917 sono viste come due grandi catastrofi nella prospettiva che assegna al popolo russo e agli zar un ruolo messianico e a Mosca il ruolo di Terza Roma”.
Una prospettiva che sta alla base del testo unico di storia adottato dalle scuole russe e scritto dal ministero dell’Educazione, per rafforzare il patriottismo. Qui, spiega monsignor Braschi, affondano anche le radici dell’idea che l’occidente sia una minaccia per i valori tradizionali del popolo russo. “Esiste una modalità di stare nel nostro tempo che non accetta ciò che a noi sembra naturale, dall’idea di progresso al primato dell’individuo, e si riflette su una modalità diversa di vivere la fede. Il problema è anche nostro: quanto siamo in grado di dialogare con questa realtà?”

Una Diocesi, tante Chiese
E il dialogo è complesso anche all’interno della comunità dei cristiani, che appare frammentata in chiese locali talvolta in rapporti tesi tra loro. Tensioni che si manifestano anche dalle nostre parti e in particolare all’interno della diocesi di Milano che accoglie sul proprio territorio comunità cristiane provenienti da tutto il mondo, come ha spiegato il diacono Roberto Pagani. “Nella Diocesi ci sono ben 14 chiese che dipendevano dal patriarcato di Mosca, i cui fedeli erano per la maggior parte ucraini, così come i sacerdoti. Lo scoppio della guerra ha generato scompiglio. Abbiamo ricevuto la richiesta di offrire una chiesa separata per i profughi ucraini arrivati in Diocesi”. La nascita della chiesa autocefala ucraina nel 1990, secondo quanto spiega il diacono Roberto, è strettamente legata alla nascita dello stato ucraino indipendente, tanto che essa ha ricevuto il sostegno degli Stati Uniti.

A causa di conflitti tra nazioni o etnie (il diacono Roberto si sofferma anche sul caso dell’Etiopia) le comunità cristiane provenienti da diverse parti del mondo non sempre accettano di pregare insieme all’interno della diocesi di Milano. Tuttavia la situazione può essere anche un’opportunità: nella nostra diocesi queste comunità non sono chiuse come lo sarebbero se fossero rimaste nel loro paese. Ci sono dei preziosi momenti di incontro, preghiere comunitarie, esperienze di convivenza sullo stesso territorio che spesso diventano un’occasione per ricostruire qui dei legami che si sono spezzati in altre parti del mondo”.
La sfida della complessità
L’invito dai relatori dell’incontro è insomma quello di affrontare la sfida della complessità e accettare di provare a dialogare anche con le realtà che appaiono più difficili da comprendere. Il conflitto tra chiese nazionali, condizionato da vicende storico-politiche più che da divergenze spirituali, è una realtà che ci si deve sforzare di conoscere e comprendere. L’obiettivo è non perdere il dialogo, anche con chi sembra tanto diverso e incomprensibile. Ogni passo verso l’altro può essere un passo verso la pace. Nelle celebrazioni di Pasqua papa Francesco ha scelto ancora una volta di affiancare una voce russa e una ucraina.
Nonostante la guerra, la sfida è cercare di mantenere aperto il dialogo, anche sul piano religioso, o almeno attraverso la dimensione religiosa.
Perchè il rischio, nel chiudere le porte in maniera categorica, è quello di perdere la ricchezza culturale che il confronto col diverso può offrire alla comunità dei cristiani, e non solo.