di Daniela Zanuso
Il pregiudizio e il disprezzo per gli stranieri, l’ansia di trovare dei colpevoli in un periodo storico avvelenato dalla violenza, le loro idee politiche in un momento di grande consapevolezza della lotta di classe e, non ultima, la smania di popolarità e di affermazione di un giudice arrivista e di un pubblico ministero troppo ambizioso.Questi, più di altri, i motivi che ebbero maggior peso nella condanna alla sedia elettrica di due innocenti.
E’ il 1908, quando Bartolomeo Vanzetti, vent’anni, figlio di piccolo proprietario terriero del cuneese, a seguito della morte della madre, decide di partire per gli Stati Uniti. Per lui, come per tanti emigranti di allora, quella era la Terra Promessa. Inizia, come consuetudine di quegli anni, dai mestieri più umili: cameriere, operaio in acciaieria, in una cava, in una fabbrica di cordami, per finire come pescivendolo, dopo che, a causa di uno sciopero guidato da lui contro la Plymouth, nessuno vorrà più dargli un lavoro.
Nicola Sacco arriva l’anno successivo negli Stati Uniti. Pugliese, diciotto anni non ancora compiuti, anche lui si adatta ai lavori più umili, fino a diventare operaio in una fabbrica di calzature. Non si conoscono ancora, ma hanno tante cose in comune. Entrambi spiriti liberi, idealisti, pacifisti, sono, soprattutto Vanzetti, amanti della lettura: Marx, Tolstoj, Gorkij, Hugo, Zola, Dante. Nel 1916 si conoscono ed entrano a far parte del movimento anarchico italoamericano. Sacco e Vanzetti vengono arrestati perché in possesso di volantini anarchici e di armi e successivamente accusati anche di una rapina avvenuta in un sobborgo di Boston. Rapina in cui ci furono due vittime: il cassiere e una guardia giurata.
Il processo fu a dir poco sommario. Il giudice Webster Thayer (che li definiva “due bastardi anarchici” ) e il pubblico ministero Katzmann, perseguirono la politica del terrore suggerita dal ministro della giustizia Palmer, anche lui ansioso di trovare in fretta qualche “capro espiatorio”. Nonostante la completa mancanza di prove, nonostante la confessione di Celestino Madeiros che ammetteva di aver partecipato alla rapina insieme ad altri complici, nonostante le numerose manifestazioni di solidarietà e di richiesta di assoluzione da parte dell’opinione pubblica mondiale, (comprese quelle di molti intellettuali dell’epoca tra cui Albert Einstein, Dorothy Parker, Bertrand Russell, George Bernard Shaw), nonostante l’intervento dello stesso Benito Mussolini, del console e dell’ambasciatore italiano, la sera del 23 agosto 1927 Sacco e Vanzetti furono giustiziati.
“Io non augurerei a un cane o a un serpente, alla più bassa e disgraziata creatura della Terra – non augurerei a nessuna di queste ciò che ho dovuto soffrire per cose di cui non sono colpevole. Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui sono colpevole. Sto soffrendo perché sono un radicale, e davvero io sono un radicale; ho sofferto perché ero un Italiano, e davvero io sono un Italiano […] » (dal discorso di Vanzetti del 9 aprile 1927, Dedham, Massachusetts).
Ci vollero 50 anni prima che, nell’agosto 1977, il governatore del Massachusetts Michael Dukakis riconoscesse in un documento ufficiale gli errori commessi nel processo, riabilitando completamente la memoria dei due italiani.