San Gerardo, il San Francesco di Monza


di Daniela Annaro – Foto e video  di Giovanna Monguzzi

Ai tempi di Gerardo dei Tintori (1134 -1207) la città si chiama Modicia o Modoetia. Un borgo,  già fiorente, animato da aspre contese fra il Papato e l’Imperatore Federico il Barbarossa. Non ci sono molte notizie sulla sua vita, se non quelle riportate  dallo storico del XIII secolo, Bonincontro Morigia, vissuto  quasi cento anni dopo Gerardo. Morigia veniva da una famiglia ghibellina, dunque non certo vicina al Papato. Ciò nonostante, è  il più attento cronista della vita e dei numerosi miracoli di San Gerardo (di cui lui stesso si dice testimone) come di San Giovanni Battista, entrambi patroni di Monza.

Tutto questo perché Gerardo dei Tintori, ricco erede di una famiglia di mercanti, tintori probabilmente,  da laico – non volle l’abito religioso – si prodiga per Monza e i suoi abitanti in modo superlativo. E’ il 1174, quindi  quarantenne, quando  stipula con le autorità locali – chiesa e consoli –  una convenzione per la gestione di un’ospedale. L’ospedale in questione è la sua ricca dimora, eredità paterna posta sulla riva del fiume Lambro, l’attuale Oasi di San Gerardo. (Qui sotto la Chiesa di San Gerardo Intramurano all’Oasi)

Non solo accoglie lebbrosi e bisognosi che già c’erano nella ricca Modicia, ma  è lui in prima persona a curarli e ad assisterli. E a loro dona la casa e tutti i suoi averi. Un San Francesco del nord, per chi ama i paragoni, tanto più che Francesco e Gerardo sono quasi contemporanei.

Gerardo Tintore si rifà fortemente allo spirito francescano. Se sono pochi i  documenti sulla sua vita terrena, ampia, al contrario, è la tradizione dei miracoli attribuiti al Santo. Il più noto è il “miracoloso” l’ attraversamento  sul suo mantello del Lambro in piena. Intende salvare  e proteggere i suoi ammalati: il mantello – racconta Morigia – gli serve anche per ordinare alle acque di fermarsi sulla soglia della sua casa, sede dell’ospedale. E le acque del Lambro, alte una ventina di centimetri,  gli ubbidiscono.

Ed è ancora il Morigia a riportare che, durante una grave carestia, forse quella del 1162, il Santo  si ritira in preghiera e riesce a moltiplicare le poche provviste della dispensa. L’agiografia – ma non il Morigia –  riferisce che per ringraziare i sagrestani del Duomo  dell’ospitalità (ama pregare per intere giornate) un giorno fa avere loro – in pieno inverno – un cestino di di ciliegie.

Gerardo  diviene  beato nel 1230, cioè pochi anni dopo la morte e santo diciassette anni dopo, nel 1247. E’  San Carlo Borromeo, alla luce della profonda  devozione di cui era oggetto Gerardo da parte dei monzesi e di altri paesi  brianzoli e comaschi,  a promuovere un attento processo e poi  a procedere alla ufficializzazione della santità. E’ il 1527.

Gerardo viene sepolto nel piccolo cimitero presso la chiesa che allora si intitolava a Sant’Ambrogio, oggi San Gerardo al Corpo, (foto qui sopra) proprio perché conserva ed onora le spoglie mortali del Santo. Le stesse a cui quaranta giorni dopo la scomparsa si  sono rivolti gli abitanti di Olgiate Comasco per implorarne la grazie dalla peste.

E’ proprio qui che, sin dalla facciata, la sua vita e i suoi miracoli vengono ricordati. Ne è autore Benedetto Cacciatori,(1794-1871) importante scultore toscano  attivo anche nel duomo milanese.

E’ ancora qui che riposano le reliquie ricomposte del Santo, rivestite da  una tunica di broccato d’oro e,  sul teschio, una corona d’argento tempestate di pietre preziose, il tutto realizzato nel 1740.

Prima di allora il corpo di Gerardo era in un elegante sarcofago in marmo di Carrara, considerato a tutt’oggi una delle più importanti testimonianze di gusto barocco nel territorio monzese. Il sarcofago lo si ammira ancora sotto l’altare della Cappella di San Gerardo.

Sulle pareti, affreschi rievocano i più noti miracoli.  Un tempo sull’altare,  vi era una pala dipinta da Guglielmo Caccia detto il Moncalvo: raffigurava la Gloria  di San Gerardo, datata 1616 opera oggi irreperibile. Il Moncalvo (1568-1625) è un noto e bravo pittore, molto presente nelle chiese di Milano e Monza. La pala rappresentava un ex-voto da parte dell’artista per la guarigione della moglie, frutto dell’intercessione di Gerardo. 

Gli studiosi di storia dell’arte non escludono che le pitture a fresco della cappella  siano opera sua, rimaneggiate nel XVIII secolo  da Ruggeri e F. Bianchi. Monza ha una terza chiesa dedicata al suo compatrono: Sacto Gerhardo, in italiano antico, è annessa al vecchio ospedale e, purtroppo, chiusa da qualche anno.

Sull’altare, un’opera a encausto, cioè antica tecnica di pittura su marmo abbellita da legno, marmo, terracotta raffigurante Gerardo sul mantello e con le ciliegie.

Viene attribuita a Gerardo Bianchi, artista della famiglia dei pittori monzesi Bianchi. Due cappelle, quest’ultima e quella di San Gerardo Intramurano  e una parrocchia, San Gerardo al Corpo, testimoniano in modo indiscutibile il culto e l’affezione dei cittadini dai tempi dell’antica Modoetia.

 

 

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