di Francesca Radaelli
“Io non ho scritto per gli imbecilli. Per questo il mio pubblico è ristretto”.
Nasce a Danzica il 22 febbraio del 1788 Arthur Schopenhauer, uno dei misantropi più celebri della storia, che non esprimeva certo molta fiducia nell’umanità commentando con queste parole i pessimi risultati di vendita dell’opera per cui – nonostante tutto e malgrado la presunta dittatura dell’imbecillità universale – sarebbe passato alla storia. La prima edizione de “Il mondo come volontà e rappresentazione” viene pubblicata nel 1818, quando il filosofo ha poco più di trent’anni, e l’opera è un vero flop, tanto che gran parte delle copie del libro vengono mandate al macero. Sono i tempi in cui nelle facoltà di filosofia università tedesche domina Hegel, definito da Schopenhauer, che non le mandava certo a dire, “il grande ciarlatano, di mente ottusa, insipido, nauseabondo, illetterato, che raggiunse il colmo dell’audacia scodellando i più pazzi e mistificanti non sensi”.
Ciarlatano o no, Hegel all’epoca è capace di attirare ai suoi corsi frotte di studenti, che invece disertano le lezioni anti-hegeliane di Schopenhauer. Accade quando il pensatore di Danzica, ben più giovane del suo avversario, ottiene la libera docenza all’università di Berlino, vero e proprio regno della filosofia hegeliana.
Schopenhauer va predicando che insegnare filosofia è impossibile, che il sapere non si può trasmettere da un essere umano a un altro, che ogni virtù può essere solo innata, è impensabile apprenderla, poiché è fornita a priori solo a pochi eletti. Ma il giovane dottorando in filosofia ha bisogno di soldi, dopo aver perso il capitale di famiglia nel fallimento di una banca, e si adopera con tutte le sue forze per ottenere la docenza di un corso universitario.
Una volta ottenutala, e nella medesima università del suo arcinemico, con puntiglio temerario si ostina a fissare gli orari delle sue lezioni in concomitanza con quelle dell’odiato ex-maestro. Trovandosi di conseguenza a tenere le lezioni in un’aula il più delle volte vuota, mentre i giovani studenti si affollano intorno a colui che era considerato il più grande filosofo vivente.
Ma perché Schopenhauer lo odiava tanto? Ciò che il pensatore di Danzica rigettava dell’autore della ‘Fenomenologia dello spirito’ era fondamentalmente l’idea di un mondo razionale, dominato dalla Ragione, dallo Spirito Assoluto che si incarna nella Storia. Un mondo che invece per Schopenhauer di razionale non ha proprio nulla, che è pura volontà istintiva, irrazionale e vitale (la ‘cosa in sé’), del quale l’uomo può dare solo una ‘rappresentazione’ filosofica o artistica, che però non coinciderà mai con il mondo in sé stesso.
Morto Hegel, sarà proprio il pensiero di Schopenhauer a prendere il sopravvento, influenzando profondamente le generazioni successive di filosofi tedeschi, Nietzsche in prima fila. La terza edizione de ‘Il Mondo’ ebbe finalmente successo, e nessuno riuscì più a resistere agli aforismi pungenti e terribili e al pessimismo cosmico (ebbene sì era un fan di Giacomo Leopardi) del filosofo misantropo, convinto che la vita fosse un pendolo oscillante “tra il dolore e la noia”. Ma anche che “Dei mali della vita ci si consola con al morte, e della morte con i mali della vita”. Una gradevole situazione, come commentava sarcastico lo stesso Schopenhauer.
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