di Elena Borravicchio
La questione sul “tavolo” è chiara: il diritto ma anche il dovere della libera scelta educativa dei figli spetta ai genitori. Almeno così sancisce la Costituzione Italiana all’articolo 30 (leggi qui).
Tuttavia, per quanto riguarda il sistema scolastico nazionale, questa libertà non è garantita. Se lo Stato infatti assicura un’offerta formativa pubblica con scuole ad accesso gratuito (ovvero finanziate dalle tasse di tutti i cittadini: lo Stato stanzia per alunno 10.000 € all’anno), le scuole pubbliche paritarie, laiche o cattoliche che siano, chiedono una retta. Va chiarito infatti che di paritarie si tratta anche nel caso di scuole montessoriane, steineriane, di ispirazione ebraica o istituite da movimenti laici. Ergo, per potervi accedere, i genitori degli iscritti pagano due volte: le tasse prima, la retta della scuola poi.
Dal 2000, la Legge è chiara: “Si definiscono scuole paritarie, a tutti gli effetti degli ordinamenti vigenti, le istituzioni scolastiche non statali che corrispondono agli ordinamenti generali dell’istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e sono caratterizzate da determinati requisiti di qualità ed efficacia”. (Legge 62).
Proprio di “tavolo” è opportuno parlare perché nel 2017 l’allora ministra Valeria Fedeli instituì un tavolo di lavoro per la definizione del costo standard di sostenibilità, con Luigi Berlinguer coordinatore, varie personalità del mondo scolastico, cattolico e non, e i sindacati, dichiarando: “È giunto il momento, dopo 17 anni, di cominciare a fare sul serio sul pluralismo educativo e sull’offerta formativa per il diritto allo studio, anche per le scuole paritarie cattoliche” (leggi qui). Scuole paritarie che, solo nel 2019, hanno chiuso i battenti in 375, con la perdita di 10.000 alunni circa.
Il tavolo, che aveva ottenuto l’approvazione trasversale di Mariastella Gelmini, Valentina Aprea, Stefania Giannini e Valeria Fedeli è attualmente fermo. Sarebbe importante ripristinarlo?
E ancora. Che cosa si intende per la scuola pubblica? È importante il pluralismo educativo?
Quanti fondi stanzia lo Stato italiano per l’istruzione? E poi: avrebbe le risorse finanziare sufficienti per rispondere a tutta la richiesta formativa degli utenti, senza l’apporto di scuole private e paritarie?
Abbiamo posto tali domande ad alcune personalità del mondo della Scuola.
Lucia Castellana, preside dell’istituto statale Liceo Frisi di Monza, concorda sul principio che la famiglia debba essere libera di scegliere e riconosce che sia la scuola statale sia la scuola paritaria esercitano un servizio pubblico, tuttavia evidenza una problematica: “I due tipi di scuola forniscono lo stesso servizio ma non sono paragonabili, né in termini di qualità né di normativa. La scuola statale ha più vincoli. La scuola paritaria ha molte libertà: per esempio può accorpare una seconda e una terza liceo e costituire classi da 15 persone; nelle statali ci sono classi da 30. È ovvio che il clima è completamente diverso: quello delle scuole paritarie è un contesto che asseconda i tempi di apprendimento di ciascuno, le scuole statali questo non possono permetterselo”. E aggiunge: “Nella scuola paritaria i ragazzi, dalla seconda liceo in poi, possono cambiare ordine di scuola, da Liceo Classico a Liceo delle Scienze Umane per esempio, senza sostenere esami integrativi, che nella scuola statale sono obbligatori. La paritaria è ideologica, può scegliere docenti in linea con la visione della scuola: la statale non lo può fare. I docenti nelle scuole paritarie lavorano tantissime ore, superano anche le 40 ore stabilite per contratto. Capisco che l’esigenza di un lavoro spinge a lavorare anche troppo: è la legge del mercato; però non è corretto. Così come un dirigente ha molta più autonomia nel licenziare dall’oggi al domani un docente che non svolge bene il suo incarico”. E conclude: “Il mio interesse preminente è che si svolga il percorso scolastico nel modo migliore. Se l’approvazione del costo standard garantisse maggiore libertà di scelta delle famiglie dico “perché no?”. La concorrenza è sempre positiva. Purché sia una concorrenza nel rispetto della norma. Le norme devono essere uguali per tutti. L’offerta formativa dovrebbe basarsi su docenti tutti provenienti dalle graduatorie. Alle stesse condizioni”.
Interpellata sugli stessi argomenti suor Anna Monia Alfieri, esperta di politiche scolastiche al tavolo sul costo standard, dichiara: “Nelle paritarie gli esami integrativi per cambiare ordine di Scuola ci sono e vanno sostenuti a settembre, prima dell’inizio dell’anno accademico, e ci sono anche i test di ammissione (leggi qui).
I docenti si possono licenziare per giusta causa secondo le procedure sindacali e il DTL, ai sensi del contratto collettivo nazionale del lavoro pubblico, come capita in qualunque azienda. La cattedra è di 24 ore alla Primaria e 28 alla Secondaria di Primo e Secondo Grado, esattamente come nella scuola statale. Chi sostiene il contrario dice il falso”. E continua: “Al centro non c’è la scuola, statale o paritaria che sia, ma la famiglia. La Costituzione parla chiaro: il genitore ha diritto a scegliere l’educazione per il proprio figlio (articolo 30), in un ventaglio di pluralismo formativo (articolo 33 ). Se la scuola è unica, che scelta è? La scuola pubblica, cioè di tutti, non è solo statale. L’ospedale pubblico, cioè di tutti, dove mi faccio operare con il ticket, per intenderci, non è solo statale. Come ha detto la presidente del Senato Elisabetta Casellati, introducendo il seminario su “Autonomia, Parità e Libertà di scelta educativa in Italia ed Europa” (che si è tenuto a Roma, nella sede Usmi e Cism, il 14 novembre, ndr), in Italia oggi solo il ricco sceglie e il povero si accontenta. Questa è un’ingiustizia grave. Se la famiglia italiana, a differenza di tutto il resto d’Europa (ad eccezione della Grecia), si trova nell’impossibilità di agire la propria responsabilità educativa in modo libero, senza dover pagare due volte, è certamente discriminata. La soluzione è, come avviene nella laica Francia, individuare il costo di un allievo da assegnare alla famiglia, che, avendo già pagato le tasse, potrà, a quel punto, scegliere liberamente tra una buona scuola pubblica statale e una buona scuola pubblica paritaria. Questo innalzerà il livello di qualità, migliorando il sistema scolastico italiano, che oggi i risultati OCSE PISA definiscono di scarsa qualità perché iniquo e profondamente dinastico, che alimenta le differenze anziché sanarle”.
I risultati del rapporto OCSE PISA (leggi qui) sul periodo 2015-18, infatti, evidenziano un calo rispetto al 2012. In particolare: nell’ambito della lettura gli studenti italiani totalizzano 476 punti, inferiori ai 487 della media europea, 487 in matematica – in linea con la media di 489 – e solo 468 in scienze, significativamente inferiore alla media di 489. Non solo. All’interno di questi dati si notano decisive differenze di rendimento a seconda della provenienza. Sono low performer in matematica il 15% degli studenti del Nord e il 30% degli studenti del Sud, lo sono in scienze il 15-20% del Nord e il 35% del Sud. Lo studio rileva inoltre che “in Italia le scuole tendono ad essere frequentate da studenti con lo stesso background socioeconomico e culturale, generando un effetto di segregazione”.
Le fa eco Rosalia Natalizi Baldi, preside dell’istituto statale di Monza Liceo Zucchi. “Il nocciolo della questione è che lo Stato non può soddisfare tutta l’offerta formativa richiesta, soprattutto al Sud e soprattutto per il Primo ciclo, dunque è “obbligatoriamente” costretto a riconoscere la parità delle scuole pubbliche paritarie. Dove invece, per gli altri ordini di Scuola, sa di potervi adempiere subentra una visione politica che condiziona le scelte finanziare. Se passasse l’idea del costo standard e ogni scuola ricevesse una determinata cifra in base agli alunni, la concorrenza si estenderebbe su tutta l’offerta formativa e su quello ci si confronterebbe. Io rispetto sempre la scelta delle famiglie, sono la prima agenzia educativa. Se la famiglia avesse un bonus per scegliere non solo tra molteplici scuole statali ma tra scuole statali e scuole paritarie avrebbe una libertà massima. Come preside di una scuola statale non mi sento sminuita da questo, né minacciata. Ciò che conta è ciò che si costruisce giorno per giorno a scuola, è avere “visione”. I dati dei successi dei ragazzi a distanza di anni parlano chiaro”. Per quanto riguarda la gestione dei docenti sottolinea: “Io salutai favorevolmente l’esperienza di due anni della cosiddetta “chiamata diretta” dei docenti. Lungi dal dare adito ad espressioni di arroganza da parte dei dirigenti scolastici essi erano invece fortemente responsabilizzati nelle loro scelte. Con un sistema paritario di chiamata crescerebbe la concorrenza anche tra i docenti, che in base alla loro professionalità potrebbero scegliere la scuola dove andare ad insegnare. L’ambiente sarebbe stimolante, competitivo”.
Una voce fuori dal coro è quella di Gianni Trezzi, preside dello statale Liceo Parini di Seregno. Forte di 36 anni di lavoro, come insegnante di Scuola Primaria prima e dirigente scolastico poi, sogna una “scuola-crogiolo”, che sintetizzi in maniera inclusiva tutte le posizioni sociali, politiche, culturali e confessionali: “In tanti anni di scuola con colleghi di credo anche molto diversi fra loro, sono sempre riuscito a trovare soluzioni di sintesi” spiega. E continua: “Sulla base dei valori umani fondamentali, quali per esempio la solidarietà, la libertà, la capacità empatizzante, sono certo che si possa arrivare con chiunque ad una forma di mediazione alta. Il pluralismo culturale è portato dalla molteplicità di punti di vista, non dall’esistenza delle scuole paritarie e dalla possibilità per qualunque corporazione di aprirne una. Anzi, moltiplicare le scuole paritarie porterebbe a un rischio di parcellizzazione preoccupante. Lavorare nella direzione di rendere effettiva la parità tra scuole statali e paritarie aumenterebbe notevolmente i costi, oltre che essere sostanzialmente inutile”.
Va chiarito che il costo standard si attesta intorno ai 5.500 € per ragazzo, mentre oggi lo Stato stanzia 10.000 € per ogni studente della statale e 500 € della scuola paritaria. Il costo standard quindi costituirebbe un risparmio per lo Stato.
Trezzi dichiara ancora: “Si dovrebbe invece immaginare di investire di più e meglio nell’unica scuola pubblica possibile, cioè la scuola statale. Lo Stato italiano infatti investe mezzo punto in meno del suo PIL rispetto al resto di Europa”. Circa il 3,6%, a fronte della media OCSE del 5%, tra i più bassi livelli di spesa dei Paesi oggetto dello studio. “Ricordo un confronto televisivo di molti anni fa tra una Scuola Superiore nella periferia di Stoccolma, frequentata per il 70% da studenti di origine pakistana, e una Scuola Media dei Quartieri Spagnoli di Napoli. Ebbene: il Governo svedese, per risolvere il problema di crescente dispersione scolastica, aveva consentito al preside dell’istituto in questione di aumentare gli stipendi dei nuovi docenti fino al 30% rispetto alle scuole del centro di Stoccolma. Nella scuola di Napoli invece, come è facile intuire, i docenti capitavano per caso e ci restavano il meno possibile. Potete immaginare come i due casi siano andati a finire. Un tentativo in questo senso era stato fatto da “La buona scuola” con la chiamata dei docenti da parte dei dirigenti scolastici da graduatorie ad hoc. Una buona manovra, purtroppo demonizzata da tutti i sindacati. Tuttavia, senza i giusti incentivi e una progettualità particolare come quella messa in atto a Stoccolma, anche in quel caso si erano verificate imparzialità”. E conclude: “Nella scuola-crogiolo che ho in mente tutte le voci verrebbero rappresentate: l’esistenza delle scuole paritarie sarebbe a quel punto praticamente superflua. Sopravviverebbero, per quanto possibile, le scuole paritarie che non vogliono confluire nella scuola statale e le scuole private con rette elevate e programmi molto caratterizzati ideologicamente (non essendo tenute, come le scuole pubbliche, a seguire le “indicazioni nazionali”). Le scuole pubbliche paritarie sono destinate a morire. Fino a che non si modifica la Costituzione e non si toglie l’inciso “senza oneri per lo Stato” non potrà che andare così, temo”.
La pensa diversamente l’ex preside dell’Istituto paritario Bianconi di Monza, Marco Riboldi: “Non è vero che la Costituzione prevede il “niente oneri per lo stato” intendendo vietare ogni finanziamento. Chi legge i testi preparatori della Costituente vede con chiarezza che la volontà del legislatore era di evitare di costituire un diritto assoluto a finanziamenti da parte di chi fondasse una scuola, ma certamente non di vietare una decisione in tal senso, se possibile e opportuno. D’altra parte, gli oneri per lo stato non ci sono se il finanziamento ad una scuola non statale fa risparmiare, in parte o in tutto, quanto serve per consentire a quegli stessi studenti di frequentare un istituto statale. È triste dirlo, ma sono convinto che se le scuole paritarie non fossero in larghissima misura di ispirazione cattolica, il problema sarebbe risolto da tempo. In altri stati anche molto laici la scuola non statale è largamente finanziata e questo non provoca scompensi (o volete dirmi che il senso di appartenenza allo Stato è più debole in nazioni come la Gran Bretagna, la Francia o gli USA?)”.
A fronte di tante opinioni differenti sarebbe bene superare la tradizionale e sterile contrapposizione tra scuole statali e scuole paritarie e rimettere al centro la persona e la sua scelta libera. Certo è che la proposta di un fronte compatto di esperti di riaprire il tavolo di lavoro sul costo standard è chiara e pressante.