Sicurezza 2.0

airport_terminaldi Alfredo Somoza

Chi viaggia in aereo si sarà chiesto spesso come mai un liquido venga considerato potenzialmente pericoloso solo se supera i 100 ml. La risposta è che, in realtà, bastano molto, molto meno di 100 ml di nitroglicerina o di tritolo diluito in etere per far esplodere un jet. Già, e allora perché? La risposta va cercata nella paranoia collettiva originata dagli attentati alle Torri Gemelle del 2001. Paranoia che ha fatto le fortune di molti, dal settore bellico fino alle ditte specializzate in videosorveglianza.

Nel comparto dei trasporti aerei, ossia quello considerato più a rischio, si è iniziato a adottare misure senza senso, spesso contraddette dai loro stessi ideatori ed esecutori, e sono cominciati gli affari d’oro per duty free e spacci di alimentari posizionati nelle aree oltre i controlli. La questione dei liquidi per esempio, cioè il divieto di entrare nella zona dei gate d’imbarco degli aeroporti con bottiglie o lattine, si spiega con la bufala giornalistica, sicuramente ispirata da qualche servizio di intelligence, dell’attentatore che in Gran Bretagna nel 2006 avrebbe tentato di trasportare esplosivo liquido su un aereo per causare una strage. Come ormai è stato dimostrato, si tratta di una leggenda metropolitana: ma è servita a mettere al bando ogni liquido dai bagagli a mano in tutto il mondo.

L’aspetto ridicolo è proprio la soglia dei 100 ml autorizzati, che obbliga i viaggiatori a rifornirsi di acqua o altre bevande nelle aree interne dell’aeroporto a prezzi triplicati rispetto a quelli praticati “fuori”, ma tutela l’acquisto e il trasporto dei profumi. Non è certo l’unica contraddizione: ci vengono sequestrati coltellini, tronchesini o pinzette, ma poi scopriamo che a bordo i pasti possono essere serviti con posate metalliche. Senza considerare che in qualsiasi bar dell’aeroporto i dipendenti maneggiano coltelli di ogni misura e genere, dei quali si potrebbe impossessare l’attentatore di turno.

Anche i laptop subiscono un trattamento speciale: bisogna separarli dal resto del bagaglio e in alcuni aeroporti devono essere accesi, per dimostrare che si tratta proprio di computer portatili. È come se si immaginasse che l’ipotetico attentatore, dopo aver nascosto una carica esplosiva nel computer, lo abbia anche svuotato e magari riempito di mattoni. Perché, se così non fosse, come farebbe un semplice impiegato incaricato del controllo ai raggi X a distinguere tra un pezzo elettronico “normale” e la carica esplosiva mascherata da circuito? Tutte domande che, se rivolte ai responsabili della sicurezza, non trovano risposta. Come anche il divieto di tenere accesi gli apparecchi elettronici al decollo e all’atterraggio degli aerei, mentre ora alcune compagnie cominciano a offrire collegamento wifi in volo.

La sicurezza 2.0 non risponde ad alcuna logica se non quella della paura. Qualsiasi idea, anche quella più balzana, viene automaticamente considerata valida per introdurre un divieto spesso vessatorio nei confronti dei cittadini, come nel caso delle radiografie “integrali” al posto dei metal detector. Ed è vietato anche ironizzare su questa follia, perché chi lo fa diventa automaticamente “sospetto” e rischia di finire in galera.

Dalla costruzione di mura merlate per difendersi dagli invasori nel Medioevo fino ai 100 ml autorizzati sugli aerei di oggi, non sono passati soltanto i secoli. È cambiato fondamentalmente il concetto di nemico e di difesa. Quella di ieri era la migliore risposta possibile contro un pericolo conosciuto, mentre quella di oggi è una risposta casuale ed esasperata contro un nemico che non si conosce. Una cosa è certa però, l’ossessione per la sicurezza, in un mondo che – escluse le aree interessate da conflitti bellici – è più sicuro che mai, sta riducendo gli spazi di libertà e di privacy dei cittadini. Tutti accettiamo di essere registrati, ripresi, inseguiti da occhi elettronici 24 ore al giorno e ci sottoponiamo ai rituali della sicurezza a capo chino. Mai nella storia l’uomo ha ceduto volontariamente una quota così elevata della sua libertà in nome della sicurezza. Per i “grandi fratelli” del telecontrollo di massa, se non ci fossero terribili nemici bisognerebbe inventarli: o forse la loro genialità è stata proprio quella di crearli.

Alfredo Somoza

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