Silvano Petrosino: felicità e l’orizzonte del Tempo

di Francesca Radaelli

Vivere nell’attimo presente o vivere in una “storia”: cosa ci rende davvero felici? O meglio, cosa è davvero proprio del nostro essere uomini?

 E’ la questione che il filosofo Silvano Petrosino ha posto al centro dell’ultimo incontro del percorso di formazione di Caritas Monza “Alla ricerca della felicità”. Professore dell’Università Cattolica di Milano, Petrosino è stato ospite d’eccezione della serata dal titolo “Cogliere l’attimo: vivere il presente con pienezza. Beato chi respira di futuro e vola oltre” che si è svolta lo scorso lunedì 26 maggio alla Biblioteca del Carrobiolo, presentata da Fabrizio Annaro e moderata dal pedagogista Gerolamo Spreafico.

Al termine di un percorso che ha permesso di diventare consapevoli del fatto che “siamo tutti chiamati ad essere felici” – come ha sottolineato in apertura Fabrizio Annaro – al centro dell’attenzione è stato posto il nostro rapporto con la dimensione del tempo, tema filosofico per eccellenza.

Fabrizio Annaro

Il pensiero di Martini: la relazione tra immanenza, trascendenza e azione politica

Come di consueto, nella parte iniziale dell’incontro Gerolamo Spreafico ha ripreso alcuni aspetti del pensiero del cardinal Martini, che è stato il punto di partenza di tutti gli incontri del percorso formativo. Si è soffermato in particolare sulla relazione tra immanenza e trascendenza: “Martini la risolveva mettendo la “e” invece che la “o”: non è possibile per l’uomo escludere una delle due dimensioni”, ha spiegato Spreafico.

Gerolamo Spreafico

“La traiettoria del cardinale ha sempre una dimensione pedagogica: l’idea è quella di camminare insieme, mettere insieme polarità diverse. Un secondo pensiero è quello che riguarda la politica”, prosegue Spreafico, “Martini ha sempre sostenuto le scuole di formazione socio-politica. Nella sua visione il cristiano non è solo e non si salva da solo, viene da una relazione e finisce la vita in una relazione, immanente e/o trascendente. Questo sembrerebbe contro-intuitivo, perché il “cogli l’attimo” spesso è visto in relazione all’affermazione di sé stessi, prima della cura degli altri. Invece per Martini la politica è uno scenario in cui mettere insieme carità e azione, anche se spesso ci si deve “sporcare le mani”, a volte scendere a compromessi. Già Paolo VI, del resto, diceva che la politica è la più alta forma di carità”.

Spreafico aggiunge quindi una riflessione di tipo educativo, maturata nella sua esperienza di pedagogista: “Oggi le generazioni più giovani fanno fatica a cogliere l’attimo. Il tempo libero per gli adolescenti è spesso caratterizzato dalla difficoltà di prendere decisioni, anche semplicemente nella scelta della serie tv da vedere. E’ come se avessimo congelato il loro futuro.”

Da sinistra Gerolamo Spreafico e Silvano Petrosino

“Cogli l’attimo”: è possibile non pensare al tempo?

L’intervento del professor Petrosino prende le mosse proprio dall’espressione “cogliere l’attimo”. Il filosofo legge il carme del poeta latino Orazio da cui essa è tratta, che esprime una consapevolezza della brevità della vita da cui l’esortazione a “cogliere il giorno”, senza far conto sul domani. Quindi cita una corrispondenza biblica, contenuta nel libro della Sapienza, in cui si riporta il comportamento dell’empio, e alla sua esortazione a spadroneggiare sul povero e sul giusto, a rendere legge la propria intemperanza.

“Così ragionano gli empi, ci dice la Bibbia. Ma gli empi siamo noi”, sottolinea Silvano Petrosino. “D’altronde”, prosegue il filosofo, “la vita è breve: chi pensi di essere, cosa pensi di fare, quali progetti puoi pensare di realizzare? Te lo dice anche la pubblicità: “life is now!

Viviamo in una società – consumistica – in cui conta solo l’oggi. Questo è il punto di partenza, il senso del “carpe diem” nel nostro mondo. “Come si risponde a questa visione?”, chiede provocatoriamente il filosofo. “Cosa possiamo dire ai giovani?” Ossia: quale modello contrapporre a quello dell’influencer, in grado di guadagnare soldi a palate in un attimo, “cogliendo l’attimo” con una foto o un video di pochissimi secondi?

Silvano Petrosino

“Per me il problema è: cosa vuol dire cogli l’attimo?”, dice Petrosino. E cita altre due poesie di Orazio, dedicate a Lice, una donna che il poeta esorta a “cogliere l’attimo”, dimenticando la fedeltà al marito. E’ proprio in una di queste poesie che subentra però il tema della vecchiaia della donna. Allora, riflette Petrosino, “come si fa a cogliere l’attimo senza vedere già nella giovane le rughe, mettendo da parte l’idea del passare del tempo? Perché noi, in quanto esseri umani, la concezione del tempo ce l’abbiamo, sappiamo che il tempo umano non è l’ora, l’adesso, ma è la storia, in cui l’ora si lega sempre alla memoria e alla speranza. Nel momento in cui devo cogliere l’attimo non posso astrarmi dalla storia, lo posso fare solo con un atto di violenza o di distrazione”, conclude Petrosino.

La “storia” è il tempo proprio dell’umano

E prosegue citando il personaggio manzoniano dell’innominato: “Lui è l’icona dell’umano, è il soggetto padrone: può uccidere Lucia, può farle tutto. Però l’incontro con Lucia lo fa pensare, quando è solo nella sua stanza, dopo essersi tolto le sue vesti. Sarebbe bello non accorgersi di Lucia, ma è un uomo e non può farlo”. E nel pensiero dell’innominato il tempo è decisivo. “Pensa al passato, alla sua vita, e non la sopporta più. E subito si proietta in avanti e pensa al futuro: vorrebbe uccidersi. Ma non lo fa. Pensa di cambiare vita, ricominciare tutto da capo, da un’altra parte, di mettersi nella condizione di non avere più storia. Ma si rende conto che ovunque sarebbe potuto andare, sarebbe stato sempre in compagnia di sé stesso e della propria storia”.

Questo è l’umano, dice Petrosino. “L’esperienza umana del tempo è l’esperienza della storia. Raccontando il passato raccontiamo una storia, il logos umano è un logos storico-narrativo. La Bibbia è un libro che racconta storie, parla di Dio e parla degli uomini. In italiano raccontare storie vuol dire anche raccontare “balle”: anche questo è interessante. Viene rilanciato al tuo cuore il crederci oppure no. Il salmo 18 dice che ‘i cieli narrano la gloria di Dio’: il problema è che la narrazione va letta, ascoltata. Si può non capirla, non crederci. Però sta di fatto che l’umano è storia, narrazione. Nella Bibbia, non si capisce nulla di Gesù se non si legge tutta la storia a partire dall’Antico Testamento”.

La storia nella società del “life is now”

Difficile però conservare e trasmettere l’idea della continuità del tempo nella società odierna dei consumi: “Oggi prevale la negazione della storia, l’impulso al godimento immediato. Tutto è già pronto, il subito dà una soddisfazione. Il problema è che il risultato immediato sul lungo periodo ti rende sterile. Come le piante che ti vendono, piene di limoni, che poi negli anni non danno più neanche un frutto: sono state bombardate di ormoni che a lungo andare provocano sterilità”. Lo stesso discorso vale per l’intelligenza artificiale oggi: offre un risultato pronto, ma non genera nulla dentro di noi. “E invece il Dio biblico fa all’uomo la promessa: ti renderò fecondo. Vuol dire: ti renderò un essere umano, capace di ascolto, di carità”.

Interpreti, non esecutori

Petrosino è bravissimo a dare concretezza a ciò che dice attraverso una serie innumerevole di esempi e immagini che non si dimenticano. Un esempio è quella dello studio della musica. “Perché studiare uno strumento musicale?”, si chiede. “Implica fatica e tempo, quando basterebbe inserire un cd. Eppure, io non voglio essere un esecutore: voglio essere un interprete, voglio suonarla io la sonata di Beethoven. Dio non ci vuole spettatori, sudditi, esecutori, ci vuole interpreti. Dà all’uomo il compito di dare il nome alle cose, nel Paradiso Terrestre”.

Altro esempio: Picasso a cinque anni dipingeva come Raffaello, ma la sua grandezza sta nell’essere diventato Picasso, non un imitatore di Raffaello. Questo il punto decisivo secondo Petrosino: “Dobbiamo capire che siamo chiamati a essere interpreti, non esecutori. La natura non è un libro già scritto, noi possiamo leggere solo ciò che contribuiamo a scrivere. Non siamo spettatori, siamo attori della scena”.

Inserire gli “attimi” in una storia

Insomma, l’esortazione a “cogliere l’attimo” deve essere sempre inserita in una storia. “In una storia non ci sono solo momenti belli”, sottolinea Petrosino, “eppure anche il limite, inserito in una storia, diventa qualcosa di prezioso”. Come il russare della propria moglie, o lo scarabocchio del proprio nipote.

“Oggi tutto nella società ci dice che se non godi sei un fallito”, rimarca Petrosino. Si sofferma sull’immagine della sessualità nei film e nella tv: è sempre rappresentata come unione perfetta di corpi perfetti, con “fuochi d’artificio”, vale a dire in modo abbastanza inverosimile, se pensiamo alla nostra esperienza reale. “Il problema è che noi ci convinciamo di dover giudicare la nostra vita a partire dall’immagine, mentre invece dovremmo fare l’opposto: giudicare l’immagine a partire dalla nostra vita”.

 Conclude: “Basta leggere Proust, leggere la Bibbia, e lo si capisce: la concezione umana del tempo non è quella della pubblicità, non è ‘life is now’, né ‘tutto intorno a te’. E l’imperfezione non è un’obiezione, il fatto che siamo mortali non è un’obiezione. E’ una condizione”.

La fatica della relazione con il “volto dell’altro”

Molte e complesse le domande rivolte dalla platea al filosofo.

Petrosino, in quanto interprete del pensiero di Lévinas, viene esortato ad approfondire il concetto di “strutturazione dell’io” nell’incontro con l’altro, con il “volto dell’altro”: perché la relazione con l’altro è così faticosa, visto che, come umani, ci appartiene?

“Sicuramente passare dall’io al noi non è semplice, è difficilissimo”, risponde il  filosofo. “Il messaggio di Gesù è vertiginoso: amare i propri nemici è impossibile ed è esattamente ciò che si deve fare. Penso che sia così difficile perché deve essere qualcosa di nostro, non qualcosa di imposto da qualcun altro. E’ il dramma dell’educazione”, aggiunge.

“Per Freud educare era una delle cose impossibili. Dici a tuo figlio di studiare geografia, ma in realtà non vuoi solo che lui studi geografia, ma che capisca il valore dello studiare. Secondo San Paolo ci sono due modi per venire meno alla legge: disobbedire e limitarsi ad obbedire. Il problema dell’educazione è che non vuoi che lui obbedisca, ma che faccia proprio il senso dello studiare, che diventi una cosa sua. Questo richiede tempo. Da qui deriva la difficoltà: c’è bisogno di tempo per comprendere. Forse la relazione è così difficile perché Dio non poteva imporla, un bene imposto si chiama male. Per essere un bene deve essere fatto proprio”.

La Storia è progresso?

Un’altra domanda riguarda la storia generale dell’umanità: dovrebbe essere un crescendo, una maturazione dell’uomo, si è convinti che il futuro possa essere migliore del passato, eppure ogni tanto ci sono anche “plateali cadute dell’umanità”, come il momento che stiamo vivendo oggi.

La risposta di Petrosino parte con una critica a una concezione dell’uomo un po’ ingenua e banale, mettendo in dubbio l’idea di storia “progressiva”: “Nel corso della storia il numero degli incesti è rimasto sempre costante, non c’è stata diminuzione; anche oggi il 30 per cento del traffico in rete è fatto dalla pornografia. La famiglia è sempre stata un’istituzione problematica: il rapporto uomo – donna, padre-figlio, il rapporto tra fratelli è difficilissimo, segnato da conflitti e resta così anche con l’avanzare della storia”.

L’idea della razionalità figlia dell’illuminismo è un’idea finta, secondo Petrosino: l’uomo non è mai stato solo ragione, ha dentro di sé passioni, vizi, un inconscio, qualcosa di torbido, complesso, difficile. La vita è difficile, passare da io a noi è difficile, accogliere l’altro è difficile. Oggi il problema della mondializzazione è che sei chiamato ad accogliere le culture: questo è difficilissimo. Però non dobbiamo lasciarci cadere le braccia: il bene è più del male, ma spesso non lo si vede. Sta a noi scegliere quello che si vuole vedere, il bene o il male.

La guerra è una soluzione?

Stimolato sulla situazione attuale mondiale, Petrosino sottolinea come nella storia dell’uomo i momenti di crisi si sono risolti sempre con la guerra. “È il sistema più economico per riportare l’equilibrio, come l’uragano per la natura. Però durante la guerra si muore: e allora, veramente vogliamo questo? Mi colpisce la superficialità con cui si dicono certe parole. Quello che avviene a Gaza è sorprendente. L’ipotesi di chiudere i conti con una “soluzione finale” è incredibile, perché avendo ucciso 50mila persone hai generato 250mila terroristi. Come si può pensare di radere a suolo Gaza? Si genera solo male. D’altra parte, c’è chi ragiona come gli empi del libro della Sapienza: prendo quello che posso prendere, il futuro non mi riguarda. Questo si collega proprio con la percezione del tempo, il concetto di cogliere l’attimo. In modo empio però”.

Insomma, se la felicità fosse un “cogliere l’attimo” senza pensarci troppo su forse sarebbe troppo semplice. Nell’ottica di Petrosino invece l’uomo è chiamato alla fatica di costruire una storia che stia in una dimensione temporale fatta di passato e futuro. Una storia che non può sottrarsi alla relazione con l’altro, anch’essa faticosa, tutta da costruire, costellata di passi indietro e fallimenti.

Ma, come ama dire il filosofo, all’interno di una storia di questo tipo, che è propria dell’umano, il fallimento non è “un’obiezione”. E’ uno degli ingredienti.

Qui il video completo dell’incontro

 

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