“Il viaggio di Vittorio” attraverso le parole di Egidia Beretta
Non è facile raccontare la vita di un figlio che non c’è più. Eppure c’è una madre, Egidia Beretta, che con grande dignità lo fa. Non parla né di un martire né di un eroe, ma del suo bambino, Vittorio “Vik” Arrigoni, un uomo semplice che credeva nei diritti umani. Raccontare questa vita singolare è un dovere che diviene più forte della volontà di rifugiarsi nel silenzio e nel dolore, per la mamma di Vittorio. In occasione dell’8° edizione dell’Emergency Day di Besana Brianza, Egidia Beretta s’introduce al suo piccolo pubblico che, forse, non è formato solo da chi sta “dalla parte di Vik” ma da tutti coloro che, sotto diverse sfumature, rispondono all’adagio “stay human”.
È stato ucciso il 15 aprile 2011 per mano di un gruppo afferente all’area jihadista salafita, con l’accusa di essere entrato a Gaza con lo scopo di diffondere la corruzione. Le origini e le ragioni del rapimento, cui fece seguito l’irragionevole uccisione, non sono ancora del tutto limpide e svelate. Ma Egidia non vive aspettando giustizia: continua a combattere per ciò che Vik ha fatto in vita, non per le dinamiche e le ragioni della sua innaturale morte. Una pena di morte che la famiglia avrebbe potuto esigere come risposta a coloro che l’hanno imposta a loro figlio. Ma la morte non genera la vita, ed è questa la ragione per cui Egidia ha risposto positivamente alla richiesta di pena e perdono ricevuta dalle famiglie degli uomini che gli hanno temporaneamente strappato il suo bambino. Temporaneamente, sì: un giorno si rincontreranno, Egidia ne è convinta. Ed è anche per questo che ha cresciuto suo figlio nella casa di Bulciago, con il Vangelo sul tavolo e Che Guevara nel silenzioso studio della scrittura e della lettura, accompagnato dai sorrisi della classica foto di Falcone e Borsellino. Questi sono i maestri di Arrigoni, fatti rinascere e rivivere sotto una luce nuova, sotto la luce di Vittorio.
Egidia, cogliendo l’occasione per la presentazione del libro pubblicato nel novembre 2012 per la casa editrice Dalai “Il viaggio di Vittorio”, racconta commossa le esperienze del figlio che a poco a poco l’hanno plasmato fino a divenire l’uomo simbolo e bandiera della causa palestinese. La Palestina, divisa dall’Europa dal solo Mediterraneo, emblema e personificazione della sua stessa ansia di libertà, infatti, è l’ultima tappa del viaggio di Vittorio, raggiunta dopo innumerevoli campi di lavoro ed esperienze di aiuto internazionale, affrontati con lo scopo della ricerca di una propria dimensione umana.
Vik s’innamora dell’Africa, il continente della colonizzazione europea, delle guerre di decolonizzazione, il Terzo Mondo da istruire, europeizzare, cristianizzare dunque conquistare, magari mascherando l’occupazione sotto l’egida della tutela dell’ordine, della specie e della natura. È il mondo verso cui gli europei hanno maggiori debiti di coscienza, verso cui l’uomo bianco ha teso per secoli la mano per prendere, ma mai per donare. Fino al 2001 Vik compie 12 viaggi. Nel 2002 incontra la Palestina, ascoltata da sempre alla radio, vista attraverso la Tv, letta sulle pagine dei quotidiani, tramite notizie lampo, vaghe e distorte.
Ora, per Vittorio, è il momento di viverla, ed è subito entusiasta. Sin dal primo momento, Vittorio viene a contatto con questa umanità ferita, privi di diritti, alla ricerca di una propria terra, in una casa con l’inquilino sbagliato, troppo diverso per essere accettato, troppo “internazionale” per essere sfidato. Si schiera dalla parte degli oppressi, e, in un battito di ali, si trova nel dicembre del 2008 nella Striscia di Gaza, durante i bombardamenti israeliani del periodo di Piombo Fuso, sganciati con l’obiettivo dichiarato di annientare la potenza militare dei terroristi di Hamas. Il divieto israeliano di permettere ai giornalisti l’ingresso nella zona di Gaza non è valso per Vittorio. Egli diviene così voce libera dell’informazione internazionale, tramite il suo blog “Guerrilla Radio. Lotta alla disinformazione”. Disinformazione, che, nel caso della stampa italiana è divenuta omissione. Omissione che parte proprio dalla non informazione dell’opinione pubblica italiana relativa alla decisione israeliana di non far entrare i giornalisti a Gaza.
Le pochissime volte in cui il blocco dei giornalisti è stato citato, e sempre di sfuggita, i commenti hanno riguardato l’errore commesso dal governo israeliano, per aver in questo modo ceduto il monopolio dei mezzi di trasmissione dell’informazione agli strumenti di propaganda filo-Hamas. Vittorio si fa dunque portavoce di ciò che accade, senza la paura di dire: Io sto con la Palestina. Ma non con la Palestina di Hamas (o meglio, non in prima battuta) ma con la Palestina dei palestinesi. Dove non esistono diritti, dove gli agricoltori, i pescatori sono limitati con colpi di mitragliatrice nella loro attività, seppur lecita e legittima. Egidia racconta e osserva immagini e video di Vik, con gli occhi gonfi di lacrime, ma orgogliosa dell’altruismo che ha insegnato a suo figlio e che suo figlio, poi, ha insegnato a lei. Non cita mai il suo ruolo di madre svolto all’interno delle missioni pacifiste di Arrigoni, non parla delle sue emozioni, del suo, credo, voler proteggere il figlio da qualsiasi attacco, da qualunque abuso. Parla della violenza fisica da lui subita, con la voce a tratti interrotta, ma degna e orgogliosa. Ma Vik non è un eroe, per sua madre, o almeno così tenta di farci credere.
Ma un uomo che mette davanti alla sua persona la sua volontà di espropriare i diritti da qualsiasi particolare cittadinanza, altro non può essere che un eroe, almeno per noi.
Camilla Mantegazza