di Francesca Radaelli
“Amleto, te che vuoi?”. È questa la domanda decisiva, racchiusa nel titolo dello spettacolo in scena lo scorso sabato al Teatro Binario 7, di e con Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari. “Amleto take away” – questa la grafia del titolo – altro non è che una riscrittura in chiave ultra moderna del celebre personaggio del principe di Danimarca. L’eroe shakespeariano del dubbio e dell’incertezza occupa tutto il palcoscenico. Amleto si ritrova proiettato d’improvviso nel mondo contemporaneo dell’alienazione da social network. Ma soprattutto nell’universo autobiografico di Gianfranco Berardi.
E così Amleto è il bambino pugliese che aspetta il ritorno del padre dall’Ilva per potersi mettere a tavola e osservarlo mentre mangia in silenzio sfogliando Tex Willer. È il figlio che cerca le palline nere tra i capelli bianchi del papà operaio, che con il papà arriva fino a Londra, dove in inglese un medico gli annuncia che ha una malattia che lo renderà cieco – senza rimanere al buio, ma continuando a vedere una luce bianca. Amleto è il giovane appassionato di teatro che, non vedente, cerca la sua strada in un mondo in cui tutti sembrano volerlo portare sulla loro. Ma è anche il giovane contemporaneo che cerca la felicità in rete a colpi di selfie e faccine. Fino a domandarsi, nel monologo culminante dello spettacolo: “To be or FB?” Essere, nel mondo reale? O apparire, in quello virtuale?
Irriverente, vulcanico, pirotecnico: Gianfranco Berardi regala agli spettatori un’ora di grande coinvolgimento e divertimento, in uno spettacolo che gli ha regalato il premio Ubu 2018. Il suo corpo catalizza sin da subito l’attenzione: appare in scena nella posa di un Cristo crocifisso tra i due drappi del sipario di una sorta di palcoscenico mobile su ruote, poi utilizza una panca di legno per mimare il volo in aeroplano, si muove con agilità sorprendente da una scena all’altra, da un concetto all’altro, da un gioco di parole a quello successivo. Indossa una maglia nerazzurra con il nome Amleto sulla schiena, poi rimane senza vestiti, quindi indossa quelli dell’amata (o forse no) Ofelia, per immergerli infine nell’acqua di un secchio, richiamando l’annegamento del personaggio shakespeariano.
Gabriella Casolari è una presenza discreta e sollecita, una sorta di angelo custode per questo Amleto ‘take away’. Pronto da portare via dal teatro, come il cibo da asporto da una pizzeria.
La cecità di Berardi – come in tutti i suoi spettacoli – diventa funzionale al messaggio. E fa dell’attore un simbolo vivente di qualcos’altro. Il filo, e il senso, spesso si perde nei continui cambi di registro e di narrazione. Ma alla fine tutto si ricompone nella figura di questo Amleto che, non vedendoci, ci guarda dritto negli occhi. E a tutti teatralmente chiede: “Te, che vuoi?”