di Francesca Radaelli
“Desidero che si faccia il possibile affinché venga pubblicato il “Gattopardo” […]; beninteso ciò non significa che esso debba essere pubblicato a spese dei miei eredi; considererei ciò come una grande umiliazione”.
Queste parole sono contenute nel testamento di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. L’autore del bellissimo romanzo da cui è stato tratto il celeberrimo film di Luchino Visconti si spense il 23 luglio 1957 a Roma, in seguito a un cancro ai polmoni.
Nato a Palermo, in seno a uno dei più antichi e nobili casati del Regno delle Due Sicilie, morì lontano da casa proprio come il protagonista del suo romanzo, il principe di Salina, il Gattopardo (dal suo emblema nobiliare) in cui Tomasi di Lampedusa aveva posto così tanta parte di sé.
Quel Gattopardo la cui lenta morte fa da sfondo a tutta l’ultima parte del romanzo: “Erano decenni che sentiva come il fluido vitale, la facoltà di esistere, la vita insomma, e forse anche la volontà di continuare a vivere andassero uscendo da lui lentamente ma continuamente come i granellini che si affollano e sfilano ad uno ad uno, senza fretta e senza soste, dinanzi allo stretto orifizio di un orologio a sabbia”.
Legatissimo alla madre, sposato con una psicanalista lettone (anch’ella di nobili origini), ex ufficiale del regio esercito, reduce di Caporetto, nel corso della sua esistenza Giuseppe Tomasi di Lampedusa ebbe modo di compiere svariati viaggi per l’Europa e di frequentare intellettuali del calibro di Eugenio Montale e Maria Bellonci.
Ma rimase sempre fortissimo in lui il legame con la sua terra, quella Sicilia assolata, profumata e impenetrabile all’avanzare della storia, che permea le atmosfere del Gattopardo, il grande capolavoro per cui oggi viene ricordato. Un’opera che Tomasi di Lampedusa impiegò una vita intera a maturare e a scrivere, plasmando e creando personaggi indimenticabili.
Dal giovane ambizioso Tancredi alla bella Angelica, fino a Fabrizio Salina, l’aristocratico sotto il cui sguardo lucido, divertito e un po’ rassegnato prende forma e si dispiega un capitolo fondamentale della storia d’Italia: l’annessione del Sud borbonico alla monarchia dei Savoia, grazie alla spedizione di Garibaldi.
Uno sguardo disincantato e consapevole di tutti i difetti del popolo siciliano, quello del principe di Salina, nel quale lo scrittore ha riversato parecchio di se stesso, facendone una sorta di proprio alter ego. Un romanzo di neppure duecento pagine che rappresenta di fatto l’unico lascito di Giuseppe Tomasi di Lampedusa al mondo letterario. E che pure è stato capace di conquistarsi con pieno merito un posto importante nella letteratura del Novecento italiano.
Dopo la morte del suo autore però. Quando questi ancora era in vita, fu un altro grande scrittore, Elio Vittorini, anche lui siciliano, a rifiutare di pubblicare Il Gattopardo, per ben due volte, prima per Mondadori poi per Einaudi.
Il romanzo uscirà per Feltrinelli l’anno successivo, grazie a Giorgio Bassani che lo riconobbe come un vero capolavoro e si spese molto per la sua pubblicazione. Nel 1959 Il Gattopardo vince il Premio Strega. Nel 1963 esce il film di Visconti con Burt Lancaster, Claudia Cardinale e Alain Delon. Il Gattopardo entra nella storia.
Il suo aristocratico autore ne è già uscito. Con signorilità e un velo di malinconia. Come il principe di Salina.