di Francesca Radaelli
Monza, dove stai andando?
E’ la domanda che ha fatto da filo conduttore del progetto Quo Vadis Monza. Scaccomatto alla storia, realizzato dalla redazione di Radio Stella del centro diurno Stella Polare. Il progetto, per cui la cooperativa Novo Millennio ha ottenuto i finanziamenti della Fondazione Comunità Monza e Brianza, è giunto giovedì 2 dicembre al suo evento conclusivo che si è svolto in Sala Maddalena a Monza. Un pomeriggio in cui sono state presentate le varie tappe del percorso compiuto attraverso la storia di Monza, per poi aprire la discussione alla contemporaneità, con un focus particolare sul fenomeno della migrazione che coinvolge oggi il territorio brianzolo. L’evento è stato arricchito dagli intermezzi musicali di Stefano Taglietti, Giorgio Cornolti, Cristiana Olojo Kosoko.
Il progetto Quo Vadis Monza
Dopo i saluti di Marco Meregalli, presidente della cooperativa Novo Millennio, è stata la stessa redazione di Radio Stella a presentarsi e a presentare il progetto: una rievocazione teatrale delle vicende di personaggi storici di primo piano le cui vite sono legate a doppio filo alla città di Monza.
Un progetto che, partito a febbraio 2020, è stato capace di reinventarsi nei tempi della pandemia, entrando in alcuni dei luoghi monzesi più rappresentativi. La vicenda della regina Teodolinda è stata messa in scena presso l’omonima cappella del Duomo di Monza, l’uccisione del re Umberto I presso la Cappella Espiatoria, la vita di San Gerardo, presso l’Oasi in via san Gerardo dei Tintori, la storia della monaca di Monza presso il convento delle Grazie Vecchie. Il percorso si è concluso con la partecipazione all’evento “E’ storia” organizzato dal comune di Gorizia.
Grazie al video proiettato durante l’evento è stato possibile rivivere alcuni momenti delle performance teatrali, a cura del gruppo teatro “Le menti fresche”, per la regia di Gennaro Ponticelli. Nel video anche un contributo di Fabrizio Annaro, direttore del Dialogo di Monza, giornale che collabora con la redazione di Scaccomatto e Radio Stella, ospitandone contributi e riflessioni. “Radio Stella ha avuto il merito di riprendere alcune domande poste dalla Storia alla città di Monza”, ha sottolineato Fabrizio Annaro. “Domande che ci interrogano soprattutto sulla contemporaneità: dobbiamo chiederci dove vuole andare Monza oggi, se vuole continuare a essere una città aperta, accogliente.”
La Storia. E le storie delle persone
E proprio sulla contemporaneità si è focalizzata la tavola rotonda organizzata per la seconda arte dell’evento, intitolata “Intrecci tra storia e migrazione”, che ha visto gli interventi di don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità, di Daniele Biella, giornalista e scrittore, della psicologa e psicoterapeuta Maria Eva Coronelli, della pedagogista Gisella Rossini e dello psichiatra e psicoterapeuta Gianluca Guizzetti.
“Con il progetto Scaccomatto alla Storia, la redazione di Radio Stella è riuscita a dare parola ai personaggi del passato, a farli rivivere, facendoci riflettere sul fatto che la storia spesso si ripete, sia quella generale sia quella individuale”, ha sottolineato in apertura Gianluca Guizzetti. “Ma ci dice anche un’altra cosa: noi abbiamo la possibilità di cambiarla”. Parlando poi della sua esperienza professionale ha sottolineato l’importanza di mettere al centro la persona: “Lo psicoterapeuta deve dare parola al discorso di quella persona. La psicoanalisi ci insegna che tutti siamo stranieri l’uno all’altro, anzi che abbiamo uno straniero anche dentro di noi, come la Monaca di Monza aveva una straniera dentro di sé, un destino già deciso. Anche la migrazione è da declinare secondo la storia del soggetto, non tanto da misurare in termini chilometrici, ma in termini di cambiamento di posizione”.
La migrazione può essere anche quella di un ragazzo che entra in una comunità psichiatrica. “Può essere affrontata solo se si accoglie davvero la persona che arriva in un ambiente nuovo, in un linguaggio nuovo. L’incontro con l’altro è sempre perturbante, dobbiamo affrontarlo, non chiuderci”. L’importanza della cura dell’altro è emersa particolarmente nel periodo della pandemia: “Il concetto di cura si sposa con la parola ‘eccomi’: stare accanto al sofferente, al morente, mettendo davanti il suo bene. Senza questa tensione verso l’altro non c’è posizione di cura”.
Etnopsichiatria e importanza dell’ascolto
“In lingua ewe, parlata in Togo, “straniero” significa persona desiderata, quindi da accogliere bene”, spiega Mariella Colomelli, raccontando la propria esperienza in un ambulatorio di etnopsichiatria, nel segno dell’attenzione all’altro e ai segnali che invia. “Ogni incontro si è concretizzato in un racconto, che inizia con il significato del nome della persona, tocca il tema del dolore, permette di cogliere la presenza di una ferita”. Il lavoro etnopsichiatrico permette anche di comprendere il fatto che esistono forme culturali diverse di affrontare il dolore: per esempio l’idea che la malattia venga dall’esterno, dagli spiriti, dal malocchio”. Così come di comprendere il significato ‘culturale’ di certi comportamenti: “Quasi nessuno, tra le persone africane ti guarda in faccia parlando, ma occorre capire che questo è per loro un segno di rispetto”.
Un lavoro sul confine
Un accento particolare sull’importanza e la difficoltà del lavoro degli operatori che lavorano con i migranti è stato posto da Gisella Rossini: “Si tratta di lavorare sul confine, anche per quanto riguarda la mediazione di significati, la comprensione della diversità dei codici linguistici, la necessità di una traduzione ‘semantica’, non letterale, dei concetti”. E poi ci sono le storie delle persone, quelle più intime, che ci vengono consegnate. “Insomma, non si tratta solo di rispondere a un bisogno materiale, ma di mettere in atto un piano vero e proprio di cura educativa”
“C’è una storia in ognuno di noi”, fa eco il giornalista Daniele Biella, che da anni si occupa di quelle legate alle migrazioni. “E’ sempre molto difficile, per un giornalista, raccontare la complessità di queste storie, per questo sono spesso gli operatori a farlo. Ho incontrato tante persone segnate da lutti, allontanamenti forzati da casa: in loro il rapporto con la madrepatria è forte, a volte contraddittorio. Così come è forte la voglia di lasciare tutto alle spalle, di un posto da chiamare casa”. Difficile è anche affrontare le problematiche dell’accoglienza sul territorio. “Bisogna evitare l’insorgere di problemi di tipo psicologico legati allo stare in un posto fermi, senza far nulla, senza poter lavorare”, sostiene Daniele Biella. “Di qui il tentativo di portare queste persone a vivere in appartamenti, di creare delle comunità”.
La migrazione: un patrimonio di storie
“Un proverbio senegalese dice che quando un anziano muore una biblioteca brucia”, ricorda don Virginio Colmegna. “Ogni persona che arriva è portatrice di una storia, che va narrata. Invece oggi ciò a cui ci spinge la migrazione è soprattutto l’assistenza, non la conoscenza. E’ una storia di aiuto, non di ascolto, non di responsabilità. Il mondo sta cambiando, ma noi ci limitiamo a fotografare la situazione, senza assumerci una responsabilità”. E invece l’ascolto delle storie di chi arriva può avere un grande potere: “Le storie ti cambiano, entrano nell’interiorità delle persone. Il mondo del futuro vivrà un cambiamento profondo strutturale: interculturalità non significherà solo tollerare culture diverse, ma costruire qualcosa di nuovo. Il fenomeno migratorio è soprattutto un patrimonio di storie, una grande opportunità culturale”.
Di fronte agli eventi storici, insomma, ma soprattutto di fronte alle persone, portatrici di storie, si è chiamati a prendere una posizione. La domanda della redazione di Radio Stella è più attuale che mai: “Quo vadis?”