di Alfredo Somoza
Con il cambio di presidenza a Washington è entrato in crisi l’intero sistema mondiale degli accordi multilaterali. Gli Stati Uniti sono usciti dal TPP, l’area di libero di scambio del Pacifico, hanno di fatto sospeso il negoziato TTIP con l’Europa e messo in discussione il NAFTA con Messico e Canada, e ora minacciano perfino l’uscita dal WTO. Un mondo alla rovescia, nel quale la Cina difende la globalizzazione e si batte contro il protezionismo mentre gli Stati Uniti diventano sabotatori del libero mercato.
L’Unione Europea, che in questo weekend celebra i 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma, ha invece riaperto a sorpresa un negoziato che languiva da anni. Quello con il Mercosur, l’unione di Paesi in assoluto più simile a quella comunitaria: perché tra Brasile, Uruguay, Argentina e Paraguay circolano non solo merci ma anche persone, mostrando semplicemente la carta d’identità; inoltre si sta insediando un parlamento e da anni si parla di moneta comune.
I negoziati con l’Europa, iniziati nel 1995, parevano essersi bloccati dopo alcuni vertici conclusi senza successo. Addirittura negli ultimi quattro anni le parti non si sono nemmeno incontrate. Eppure lo scambio tra queste aree assomma 57 miliardi di euro di esportazioni europee e 47 miliardi di esportazioni del Mercosur. Una bilancia commerciale nettamente favorevole all’Europa, che però tentenna al momento di concludere.
Questo è accaduto perché la Francia ha esercitato il suo storico veto nei confronti di tutto ciò che riguarda il capitolo agricoltura. I Paesi del Mercosur, secondo Parigi, dovrebbero aprirsi senza dazi ai manufatti europei, mentre l’ingresso dei prodotti agricoli sudamericani sul mercato europeo dovrebbe essere contingentato. Uno scambio diseguale, impossibile da accettare visto quanto pesa l’agricoltura nell’economia dei Paesi sudamericani. Ora, però, sembra che l’aria stia cambiando, per via del naufragio del TTIP e dei timori di un mondo che si sta inesorabilmente chiudendo al libero scambio.
La Commissione ha chiesto all’Università di Manchester una simulazione delle ricadute che si avrebbero qualora si chiudesse l’accordo: e i risultati dicono che per i Paesi Mercosur i vantaggi si concentrerebbero sul settore agricolo, mentre si avrebbe un calo dell’occupazione in quel settore in Europa. In compenso l’UE avrebbe vantaggi per il suo settore manifatturiero. Fin qui nulla di nuovo. Ma c’è di più. Nonostante una crescita del PIL calcolata tra mezzo punto percentuale per l’Argentina e 1,5% per il Brasile, entrambi i Paesi sudamericani dovrebbero far fronte a un calo occupazionale dovuto al declino dei settori manifatturieri, che si concentrano nelle grandi città, non compensato dalla crescita dell’impiego nelle campagne. In buona sostanza si avrebbe un aumento del reddito agricolo ma il settore non avrebbe praticamente bisogno di manodopera aggiuntiva, essendo stato riconvertito agli OGM.
I dubbi su questo accordo non si esauriscono qui. Si legge infatti nel documento preparatorio al prossimo vertice che la modalità di risoluzione delle eventuali controversie saranno definite “alla luce dei TLC firmati recentemente”. Significa introdurre in questo accordo quella modalità ripudiata dai milioni di cittadini europei che hanno inondato Bruxelles di firme contro gli ISDS: cioè le commissioni arbitrali private che dovrebbero risolvere i contenziosi fra Stato e soggetti privati. L’Unione sta tentando di applicare, in breve sintesi, alcune delle logiche e degli strumenti dell’accordo per ora interrotto con gli Stati Uniti; e, soprattutto, pretende aperture dagli altri tenendo chiusi alcuni dei propri settori produttivi. Si tratta di un liberismo a targhe alterne fuori tempo massimo.
L’Unione dovrebbe – eccome! – stabilire relazioni chiare e proficue con il Mercosur, e anche con la Cina e con i Paesi del Pacifico. Ma dovrebbe farlo definendo uno “specifico europeo” nelle relazioni commerciali internazionali, soprattutto ora che gli Stati Uniti si ritirano dalla scena internazionale. Per ora, invece, il comportamento dell’UE continua a risentire dei riflessi condizionati del periodo a stelle e strisce: un periodo che si sta chiudendo, anche se a Bruxelles non l’hanno ancora capito.