29 febbraio: un giorno da paperi

paperodi Claudia Terragni

Da che mondo e mondo Paperino è sempre stato quello sfigato. Personaggio simpatico ma terribilmente imbranato, sfortunato e incredibilmente pigro; divertentissimo sì, ma perché suscita un senso di tenerezza, di pietà forse. Niente in confronto a Topolino, il roditore tuttofare. Il mitico protagonista, sempre indaffarato, intraprendente, l’eroe della situazione che risolve ogni problema.

Paperino, il perdente, è quello che dorme, perde tempo, non rinuncia mai al suo pisolino, inguaribile amante del dolce far niente. Il compare fannullone del super dinamico Topolino. Una dicotomia con cui generazioni e generazioni sono cresciute, un modello di comportamento secondo cui il poltrire è da sfigati. La Disney sembra suggerire che tenersi del tempo per non fare nulla equivale a perderlo. Come stupirsi che i suoi personaggi siano perfettamente inquadrati nell’ottica del liberalismo americano?

Con uno stile disarmante, la storica industria hollywoodiana sforna gli idoli imitati dai nostri figli. Direttamente dal puritanesimo dei Pilgrim Fathers ai nostri fumetti: l’importanza del libero arbitrio, la dottrina della predestinazione protestante, l’incrollabile valore del lavoro proclamati dai Padri Fondatori. Idee che hanno attraversato la storia e plasmato una società, che proprio grazie a questa etica si è costruita, autodeterminata. L’uomo che ha pieno potere sulla propria vita e ha dunque il dovere morale di farla fruttare, lavorando duramente e incessabilmente.

Ogni aspetto della vita viene calcolato in termini di utilità e rendita. Ciò che non è produttivo è da eliminare. Il tempo è scandito dall’orologio del liberalismo individualista: le giornate sono organizzate nella schedule, in un’agenda sempre piena, incessantemente volta al guadagno. Progettare, lavorare e guadagnare in un crescendo di aspettative, progetti e fatica.

Quindi la pennichella è del povero Paperino, non certo dell’invincibile Topolino.blog-paperino-ronfasuamaca

Il tempo oggi è un susseguirsi di momenti pieni e vuoti, la timetable è da riempire fino all’orlo, fin quando l’inchiostro della biro non ha soffocato ogni casella della tabella della giornata. Impegni da incastrare come forme di Tetris. Un puzzle: orari miei e orari tuoi, orari di mio marito che però non coincidono con quelli di mio figlio. Un’ora libera? Ottimo! Più tempo per portarsi avanti con il programma, con il piano di attacco. 365 giorni all’anno.

Ma se ce ne fossero 366?

Per qualche strano scherzo del destino o forse per la bizzarra velocità con cui la Terra ha deciso di girare intorno al sole, ogni quattro anni il nostro calendario presenta un stranezza, una malformazione. Un giorno in più, il 29 febbraio. Un ironico scherzo di Dio che sembra voler gettare il caos di un giorno vuoto nell’inesorabile scorrere della frenetica vita moderna.

E se invece fosse un dono?

Se fosse Madre Natura che, impietosita, ci regala ben 24 ore in più da vivere? Possiamo decidere noi stessi come usarle. Se riempirle di altri mille cose da fare o se perderle. Provare per un giorno a tenere Paperino come modello di riferimento. Smettere per soli 1440 minuti di costruire la nostra vita. E semplicemente viverla.

Lasciarsi bagnare da un’inaspettata pioggia di momenti vuoti. Ascoltare, rimanere aperti ad un processo di impregnazione, in cui il proprio corpo diviene permeabile fino a oltrepassare la pressante routine quotidiana e venire a contatto con lo spirito dell’universo.

Riscoprire la ricchezza dell’inutilità di un giorno perso. La bellezza dell’inutile, della gratuità. Regalarsi tempo per non fare nulla: accettare un regalo gratuito, incondizionato, che rimette in circolo quello che Hyde chiama il sistema del dono: l’inesauribile fonte di tesori nascosti dietro un regalo inutile. Come nella storia di San Martino: la sacralità di un “mezzo mantello”, troppo corto per coprire sia il povero sia il santo. In un’ottica utilitaristica è controproducente: si guadagnano due persone infreddolite al posto di una. Ma San Martino intuisce la miniera d’oro che si cela nella condivisione. “Ciò che è poco ma condiviso, Allah lo moltiplica” proclama la tradizione islamica.

Donare a sé stessi un 29 febbraio da condividere. Accogliere questo inaspettato regalo astrale e goderselo! Per uscire per un po’ dalla propria vita e riscoprirsi parte di un tutto più grande, che trascende le nostre esistenze individuali.

Non serve un momento di ascesi mistica, non serve necessariamente un’orientaleggiante estasi spirituale per ritrovare il senso della propria vita. Ce lo testimonia Shonda Rhimes, sceneggiatrice, regista e produttrice cinematografica statunitense, colosso della celeberrima serie tv Grey’s Anatomy. Ospite del programma “TED” poche settimane fa, nel suo intervento racconta della sua esperienza: responsabile di 70 ore di programma televisivo per stagione, ama il suo lavoro ma lo stress eccessivo le fa perdere quello che denomina il “mormorio”: “la droga, la musica, il sussurro di Dio al suo orecchio”. Il senso della sua vita scompare in un chiassoso turbinio di impegni incessanti, assordanti. La scrittrice riesce a percepire nuovamente il brusio solo in un modo. Fermandosi. Accettando un breve, inutile, fittizio quarto d’ora di gioco con le sue figlie. Pace e semplicità, che le permettono di ascoltare il mormorare dell’universo.

Anche se non ce ne rendiamo conto, ognuno di noi ha bisogno del suo quarto d’ora di gioco. Per staccare la spina, per prendere fiato, per accettare il vorticare frenetico degli impegni ma senza perdere sè stessi. Scoprire il lato nascosto della natura umana: l’homo ludens (come lo definisce Johan Huizinga), oltre che l’homo faber celebrato dall’individualismo. L’uomo che gioca, che si svaga, che si dona un momento inutile per non pensare a niente.

Momento inutile come il 29 febbraio, un dono cosmico da non “sprecare”.

Per godere per un solo giorno ogni quattro anni del Paperino che c’è in noi.

 

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