di Daniela Annaro
“La mia arma contro l’atomica è un filo d’erba. Tancredi. Una retrospettiva” è il titolo della mostra che la Peggy Guggenheim Collection di Venezia ospita fino al 13 marzo prossimo.
Un titolo efficace e ricco di poesia che restituisce il lavoro, il pensiero di Tancredi Parmeggiani (1927-1964). Tancredi era un’anima inquieta, segnata da lutti precoci e da un’innata ribellione. Lo conosciamo con il solo nome di battesimo, Tancredi, così firmava le sue opere. Era nato a Feltre, Belluno, ma giovanissimo era andato studiare a Venezia, al liceo artistico, frequentato in modo irregolare per un solo anno. Sarà comunque la laguna ad accogliere le sue inquietudini. Frequenta gli artisti dell’Accademia,Armando Pizzinato, Guido Cadorin, Emilio Vedova.Siamo nel 1946. La guerra è finita da poco e Vedova lo aveva già conosciuto come partigiano tra i monti del Bellunese. Ed è ancora Venezia la città della sua prima mostra, alla galleria Sandri. E’ il 1949. Il catalogo accoglie i suoi scritti, cosa che avverrà per tutte le sue personali.
In quegli anni, la sua pittura risente delle correnti artistiche allora molto forti, il primitivismo su tutte, ma anche una sicura attrazione per Vincent Van Gogh. E’ un punto di partenza, Tancredi prenderà altre strade: la sua pittura diventerà sempre più aerea, più rarefatta, il segno si perderà spezzetandosi nello spazio della tela, negando l’immagine. E’ un percorso, quello verso l’astrazione, frutto di incontri con artisti come Giulio Turcato, Piero Dorazio e Achille Perilli.
Agli inizi degli anni Cinquanta, Peggy Guggenheim lo accoglie sotto la sua ala protettrice: lo ospita a Ca’ Venier dei Leoni, gli offre un contratto, lo mette in contatto con Jackson Pollock, promuove le sue tele negli Stati Uniti e in Italia. Altrettanto importante, in quegli anni, in cui la vita sembra sorridergli è l’incontro con lo Spazialismo di Lucio Fontana. Il rapporto con Peggy, però, si interrompe nel 1955. L’anima inquieta di Tancredi sente il bisogno di confrontarsi con altri mondi, altre realtà.
“Un uomo è grande quanto più universo ha in se stesso “scriveva Tancredi, ma il suo è un universo tormentato, inquieto a dismisura. Condivide in quegli anni le battaglie civili contro l’apartheid, contro la guerra, contro l’ingiustizia, contro il conformismo, anche nel mondo dell’arte. Il 1963 è l’anno del primo ricovero alla clinica psichiatrica Villa Tigli a Monza. Le mostre e il successo, di pubblico e di critica, continuano, anche con la partecipazione alla Biennale di Venezia, come continuano ad agitarsi i suoi demoni. A Roma, il 1 ottobre 1964 il suo corpo verrà ripescato privo di vita nel Tevere.
Tre anni dopo, Venezia organizza una mostra antologica a lui dedicata. E in quella occasione Dino Buzzati scrive:
La sua personalità consisteva in una specie di afflato, di grazia, di impeto lirico, di levità giovanile, di felicità espressiva per cui le esperienze e anche le invenzioni altrui venivano da lui assimilate, bruciate,fatte sue, e restituite sulla tela con un accento inconfondibile.