di Roberto Dominici
Tutti conoscono la sensazione di paura che suscita la parola Alzheimer, gli studiosi e i ricercatori lavorano incessantemente per trovare la chiave fondamentale per bloccare la malattia ed aggiornano le cifre drammatiche e le stime di impatto nel mondo di una malattia che non conosce confini geografici, economici o sociali e che rappresenta tutt’ora una sfida molto seria.In occasione della XXIV giornata mondiale dell’Alzheimer, che si è celebrata il 21 settembre in tutto il mondo, sebbene non sia stata data notizia di qualche significativo passo avanti nella cura, è possibile affermare che molto si può fare per fronteggiare adeguatamente la malattia, anche se dobbiamo ammettere che non disponiamo ancora di strumenti in grado di bloccarla.
Le prospettive che si aprono sono improntate all’ottimismo indotto dal fatto che esiste una vasta ricerca eccellente in questo settore; c’è un interessamento sempre maggiore da parte delle aziende farmaceutiche, dei governi, degli enti di ricerca.
L’Alzheimer è sempre di più al centro dell’interesse collettivo, che si esprime da una parte con la ricerca scientifica e dall’altra con il miglioramento dei servizi e con una maggiore sensibilità diffusa da parte della collettività verso i problemi dei malati e delle loro famiglie.
Sentirsi rispettato e amato è importantissimo per la stessa serenità del malato. Dal punto di vista della diagnosi precoce si sta lavorando in molte direzioni; si cerca di mettere a punto esami per valutare in modo più specifico le funzioni cerebrali correlate alla malattia, per rilevare la beta-amiloide e altri marcatori nel liquor e, anche nel sangue; per il momento non abbiamo esami non invasivi ma molti segnali preliminari ci fanno ben sperare.
Anche dal punto di vista della terapia si sta indagando in molte direzioni: in passato ci occupavamo solo della proteina beta amiloide, che rimane importante, ma non l’unico target, in quanto ora stiamo sempre più ampliando il raggio dell’indagine anche a quello che “succede intorno”, cosa ne provoca il deposito e cosa succede a valle.
Nel panorama degli interventi di tipo psicosociale, possiamo dire non senza orgoglio, che nella città di Monza e nel territorio della Brianza si stanno delineando diverse tipologie di servizi, diversi interventi e realtà che ci pongono a modello nell’assistenza e nella cura delle demenze.
In particolare, come è noto, la storica Cooperativa La Meridiana sta attuando alcuni progetti di rilievo tra cui spicca la realizzazione di un vero e proprio quartiere , un villaggio di cura, “il Paese ritrovato” che deriva da un’esperienza olandese e che rappresenta un nuovo paradigma nella cura delle persone colpite da Alzheimer e dalle altre forme di demenza e che permette con l’ausilio di tecnologie domotiche avanzate di rendere “sostenibile” la realtà per persone di solito emarginate dalla società perché della loro realtà, qualunque fosse, hanno perso le coordinate della mente.
Esattamente quello che la Cooperativa La Meridiana con i suoi responsabili e con l’aiuto di sensibilità civiche illuminate presenti nel territorio monzese ha realizzato in tempi eccezionali con grande spirito progettuale e lungimiranza.
Nel corso della presentazione del progetto, che sarà completato nella primavera del 2018, di particolare rilievo è stata anche la presenza in termini di collaborazione e di contributo, di giovani studenti creativi e innovativi dell’Istituto di Design del Politecnico di Milano che hanno realizzato una serie di originali strumenti o accessori per l’arredo della casa con un design nuovo, e soprattutto con la funzione di stimolare sensorialmente la persona con malattia che vive ancora nella propria casa; si tratta in alcuni casi di dispositivi di monitoraggio di parametri fisiologici, o collegati con tecnologia tablets che facilitano i compiti che una persona con problemi di demenza deve affrontare quotidianamente.
L’altro progetto si integra perfettamente con il precedente: non solo il coinvolgimento di un quartiere o di un villaggio ma la trasformazione di un intero paese o città in una Comunità Amica delle persone con problemi di demenza (DementiaFriendly Community).
Questo progetto, ideato dalla Federazione Alzheimer Italia e basato su un protocollo messo a punto in Gran Bretagna dall’Alzheimer’s Society, ha come obiettivi quello di rendere partecipe tutta la popolazione, le istituzioni, le associazioni, le categorie professionali per creare una rete di cittadini consapevoli che sappiano come rapportarsi alla persona con demenza per farla sentire a proprio agio nella sua comunità.
Si prospetta quindi l’avvio di un processo di cambiamento sociale che possa rendere la città, con i suoi spazi, le sue iniziative, le sue relazioni sociali pienamente fruibile senza escludere e isolare le persone con demenza.
Questo progetto già avviato in alcune città italiane, prevede uno studio di replicabilità in altre realtà italiane, ed anche Lissone con il suo consolidato ed originale Alzheimer Café, ideato da ARAL e portato avanti con il contributo di altre associazioni lissonesi, oltre a Monza, si sta già muovendo in questa direzione per la riduzione e il superamento della condizione di solitudine dei familiari e dello stigma che ancora grava sui malati.
Dicevo prima che la malattia non conosce confini e mi auguro e auspico che nel territorio della Brianza si possa realizzare un fronte unico e altamente integrato che fornisca una rete di servizi qualificati e innovativi in grado di rispondere alle mille esigenze e bisogni dei malati e dei loro familiari.