di Alfredo Somoza
L’estate 2017 sarà ricordata per le temperature sopra la media, per la persistente siccità in Europa e per i devastanti uragani nei Caraibi. Il cambiamento climatico colpisce pesantemente sia chi ne nega l’esistenza, visto che in Florida si trova la residenza più amata dal presidente statunitense Trump, sia chi continua a temporeggiare.
Ma il clima impazzito e l’immobilità della politica non sono che una parte del grande caos che caratterizza questi mesi. L’impunita dimostrazione di forza della Corea del Nord nei confronti dei cugini del Sud, del Giappone e degli Stati Uniti non ha precedenti. Uno solo è l’obiettivo del regime di Pyongyang: il riconoscimento con tutti i crismi del suo ruolo di potenza nucleare. Secondo gli esperti, sono almeno 60 gli ordigni in possesso dei nordcoreani, che tra l’altro sarebbero in grado di annientare mezza Corea del Sud col solo uso delle armi convenzionali. Nel gioco a scacchi della politica internazionale Pechino, alleata di ferro della dinastia Kim, ha segnato una vittoria. Ormai la Cina è l’unico Paese in grado di rapportarsi con i nordcoreani, e questo suo ruolo di moderatrice – si fa per dire – l’ha molto rivalutata agli occhi di Donald Trump. Vale la pena ricordare che la Cina, almeno fino alla fine della campagna elettorale negli USA, era considerata solo un bersaglio da colpire duramente con dazi all’export, misure delle quali ormai non si parla più.
Un’altra importante notizia estiva riguarda i flussi di migranti nel Mediterraneo: ormai esauriti gli approdi di rifugiati in uscita dalla Siria, oggi ad attraversare il mare sono soprattutto migranti economici agevolati dal caos libico. Questa situazione ha messo a dura prova l’Unione Europea, già scossa dalla Brexit. È stato chiarito in tutti i modi che i Paesi dell’Est non intendono rispettare il piano di redistribuzione dei richiedenti asilo giunti in Grecia e in Italia, a conferma che il principio di solidarietà alla base del processo di integrazione europea è ormai solo retorica.
Dalla crisi greca alla crisi dei profughi il motto è “si salvi chi può”, e l’Unione si sta riducendo ad area di libero scambio commerciale. Senza ideali, senza volontà politica, senza spinte dal basso, l’UE si avvia verso un declino che a un certo punto non potrà che diventare crollo, con conseguenze pesanti soprattutto per i Paesi meno in grado di affrontare da soli il mondo globalizzato. Cioè quasi tutti gli Stati membri.
In un mondo senza leadership politiche credibili, con il suo viaggio in Colombia papa Francesco si è confermato voce autorevole per i latinoamericani. Il suo non era un viaggio facile: al momento il processo di pace è solo una firma sulla carta, mentre la società colombiana resta fortemente divisa. La scommessa di Bergoglio, il suo appello alla riconciliazione e al perdono non erano rivolti solo ai colombiani ma anche ai vicini venezuelani. Allo stesso modo, la richiesta di pentimento indirizzata ai sicari dei cartelli dei narcos non parlava solo ai colombiani ma anche ai messicani. Il rilancio della politica per risolvere i conflitti e la fiducia nel dialogo come strumento di pace, elementi costanti nei discorsi del Papa, sono merce rara e, anche se la politica non lo capisce, sanno toccare in profondità il cuore delle persone.
L’estate 2017 verrà ricordata per queste e altre cose, ma soprattutto per la maledetta sensazione che il mondo si trovi a un bivio, in una fase di transizione: e, forse per la prima volta da molto tempo, la transizione non appare indirizzata verso una situazione migliore. La paura delle catastrofi naturali, la perdita delle sicurezze individuali e il timore di nuove guerre sono generalizzati. Dall’ottimismo della globalizzazione siamo passati al pessimismo della dissoluzione. Perché tutti sappiamo che, se il mondo regredisce a una giungla, l’unica legge valida è che vince sempre e solo il più forte.