di Giacomo Laviosa
Tra oggi e domani gli elettori americani saranno chiamati ad eleggere il 45° presidente degli Stati Uniti d’America. L’esito, che si è fatto sempre meno scontato con il passare delle settimane, porrà fine ad una campagna elettorale lunghissima, piena di colpi di scena, colpi bassi, e colpi di testa. Il candidato repubblicano Donald Trump ha contribuito non poco ad alimentare la spettacolarizzazione del dibattito ad uso e consumo dei media.
Presentatosi come outsider senza precedenti esperienze in politica, ha da subito giocato sulle pulsioni più viscerali della parte di popolazione che maggiormente subisce i cambiamenti epocali, come le gravi crisi finanziarie e il flusso demografico, con le minoranze nera, ispanica, asiatica, che stanno diventando la maggioranza. Il magnate newyorkese ha puntato le sue fiches sui bianchi, soprattutto quelli delle classi più basse, che hanno la sensazione di perdere il controllo del paese e reagiscono. Più di pancia che di testa.
Può sembrare che nella campagna di Trump ci sia molta poca testa, con sparate grossolane più vicine all’immagine dell’elefante nel negozio di cristalli che alla personalità carismatica di un politico navigato. Tuttavia, trattandosi di un immobiliarista a capo di un impero economico in corsa per la Casa Bianca, è lecito pensare non ci sia niente di improvvisato.
Preso atto del risentimento dell’establishment repubblicano, sancito dall’assenza alla convention di Cleveland di personaggi come i Bush, Romney e McCain, Trump è andato al cuore dello spirito americano.
Ha mirato contro i nemici di sempre del suo bacino elettorale: le élite di Wall Street colpevoli dell’impoverimento di buona parte della classe media; la globalizzazione, con la Cina in testa, responsabile dei danni ai lavoratori americani; la guida debole della nazione, con il presidente nero “che va in giro per il mondo a chiedere scusa”.
Soprattutto si è reso conto che l’unica carta da giocare per ostacolare la macchina da guerra (elettorale) Hillary era presentarsi come antitesi alla cricca dei “politicanti di Washington”. Una puntata che ha già avuto un risultato: la novità straordinaria di avere la prima donna candidata alla presidenza è bilanciata dal fatto che a questa donna viene imputata la continuità di una politica oggi sotto attacco e, spesso, delegittimata. La vecchia politica dei Clinton, in altre parole.
Se sarà sufficiente a portare l’elefante alla Casa Bianca, lo diranno gli Americani tra poche ore.