Calabria, dal greco “faccio sorgere il bene”. Calabria, la perla più bella, la perla più amara. Lea è nata lì, in questa splendida terra italica, vittima dei suoi uomini, di quella parte dei suoi abitanti che ha deciso di creare una gabbia di complicità, di violenza e di reati. Calabria, prigione della mafia e dei mafiosi, dell’omertà e degli omertosi, di chi ha smarrito il coraggio della parola. Nasce in una famiglia scomoda, padre, fratello e marito ‘ndranghetisti. Una generazione di mafiosi da cui Lea decide di scappare, scegliendo con consapevolezza la paura e la solitudine. Diviene testimone di giustizia, per amore di sua figlia Denise, perché lei si salvasse da questo giro di violenze, per il sogno di una vita migliore.
Lea muore nel novembre 2009, uccisa, bruciata e sepolta in un campo di Monza, dove viene ritrovato il suo corpo solo a distanza di anni. Vittima non del suo destino, ma della persecuzione ossessiva degli uomini della sua terra, di quegli uomini a cui si era fortemente ribellata. Conosceva quale sarebbe stata la sua tragica fine, ancora prima che arrivasse.
Nell’aprile 2009, infatti, preannunciò la sua morte in una lettera mai spedita: destinatario il Presidente Giorgio Napolitano. “Sono una madre sola e disperata, diceva, e so quale sarà la mia fine: sarò uccisa”. Chiedeva un segnale di speranza, per sé, per sua figlia e per tutti coloro che, come lei, vivono nel terrore della vendetta. Perché il corso della storia si può e si deve cambiare. Lea, testimone di libertà, martire della giustizia.
Milano, quattro anni dopo, nella mattinata di sabato 19 ottobre Piazza Beccaria trabocca di gente, di impegno civile e sociale. Il Sindaco Pisapia è orgoglioso di questa sua Milano “capace di pensare e di agire”, che toglie spazio alla mafia lottando ogni giorno contro di essa. Denise ha fortemente voluto questa giornata, decidendo di diventare grande, quando ancora aveva tutto il diritto di essere bambina.
Milano ha risposto a questo suo appello, in modo esemplare. Ha salutato Lea e in questo suo “ciao” ha voluto ridare vita a una delle donne che meglio sono riuscite a testimoniare verità, divenendo vittima della sua stessa lotta. Lea rimarrà nei cuori della Milano riunita in piazza e rivivrà nell’impegno quotidiano della lotta alla violenza, dice con forza e voce interrotta Don Luigi Ciotti, amico e robusta spalla a cui Lea si è appoggiata nel 2007 per cercare invano di sfuggire da quelli che si sarebbero poi svelati i suoi assassini.
È arrivato il momento di scegliere da che parte stare – continua il fondatore di Libera -: ma non c’è scelta, la parte è una sola, al di là di ogni convinzione politica, oltre ogni credo, al di fuori di ogni ideologia. Don Ciotti chiede perdono a Lea, per non averla protetta abbastanza, per non avere impedito che la sua vita fosse interrotta da un destino che non si meritava. Alza gli occhi al cielo e grida, grida fino a commuoversi, portando nella piazza il suo “amore per Dio, per la giustizia, per il Vangelo e la Costituzione fortemente saldate insieme”. E tra le sue parole, gli altoparlanti fanno le canzoni che Lea amava, di De Andrè, di Capossela, di Vasco Rossi.
Le parole e la musica emozionano e turbano la piazza, colorata dalle bandiere di Libera e dai fiori, che pendono dalle mani di quel popolo fortemente presente, con giovani a perdita d’occhio, per affermare che la “verità è giustizia” e per manifestare la volontà di muoversi, abbandonando le parole, ormai stanche di essere continuamente pronunciate a tragedia avvenuta. Le lacrime scorrono, quando Denise, la figlia obbligata a vivere nascosta e sottoposta a sorveglianza speciale, lancia il suo messaggio, dolce e straziante, dopo avere preteso con determinazione le esequie laiche. “Per me è un giorno triste ma la forza me l’hai data tu, mamma.
Se è successo tutto questo è stato solo per il mio bene. Ciao mamma”. Denise porta avanti la testimonianza di sua madre che, secondo le parole di Pisapia, deve essere esempio per i giovani, affinché non debbano più piangere sul feretro di nessuna vittima della mafia perché loro stessi, in prima persona, possano riuscire a fare passi avanti per estirpare la criminalità organizzata, il male di questa bella Italia. Perché il problema vero, dice don Ciotti, “non è la mafia, ma siamo noi, con la nostra mafiosità e con il pensiero che tocca agli altri ‘fare’”.
Parole che scuotono le coscienze di tutti. Frasi che colpiscono, che creano imbarazzo, che ci dicono di iniziare a vedere, a sentire e a parlare. Iniziamo a ‘fare’, questo ci dice don Luigi Ciotti, non perdiamo tempo, portando avanti la logica “del non fare”. La piazza sembra cogliere il suo appello: si legge nei visi di chi, si dirige a casa, tra le lacrime e la rabbia.
Camilla Mantegazza