Verona, Amore e Arena

Verona

di Giovanna Monguzzi e Stefania Sangalli

Al tramonto, soprattutto d’estate, intorno all’Arena c’è un grande via vai. Signore eleganti di tutte le età, accompagnate da mariti e compagni, affrettano il passo  per raggiungere l’entrata segnata sul  biglietto. L’Arena  è uno dei pochi anfiteatri romani che mantiene inalterata la sua funzione a quasi duemila anni dall’inaugurazione, avvenuta  presumibilmente tra gli anni dieci e trenta del I d.C., ma altri storici propendono per la metà dello stesso secolo.


La stagione dei concerti la ripopola esattamente come ai tempi degli imperatori di Roma, allora quindicimila persone vi prendevano posto. Sappiamo di certo che nel 69 d. C. l’Arena era in piena attività. Ed erano i gladiatori a farla da padroni, abbandonati definitivamente con l’avvento  e l’affermazione del Cristianesimo, dopo l’editto di Costantino (312 d.C).


Il che ha voluto dire anche abbandono della struttura che, per secoli, ha avuto solo funzioni difensive durante gli attacchi delle truppe barbare. I Goti, al servizio di Teodorico, furono i primi a rimettervi mano e a restaurarlo. Ma nel corso del tempo terremoti , il peggiore è quello del 1117, e inondazioni  danneggiarono seriamente l’intera struttura. Tanto che documenti storici parlano di un uso infimo degli spazi romani: vi abitavano le prostitute che non potevano accedere al resto della città , all’occorrenza vi si bruciavano gli eretici: l’Arena era  una vera e propria discarica a cielo aperto.


La prima bonifica seria avviene attorno al 1450, (ma all’interno dell’Arena si continua a praticare il meretricio)  anno in cui  sotto il dominio della Repubblica di Venezia si ripensa la struttura urbanistica della città. Ci vuole quasi un secolo e l’interessamento di personalità come Andrea Palladio e Giovan Francesco Caroto per decidere di mettervi mano, ridagli vita. Ma per procedere praticamente si deve arrivare al XVIII secolo. Questo non significa che all’interno non si tenessero manifestazione ludiche e cavalleresche, come la famosa Giostra delle Quintana, o la  “caccia  dei tori” , molto gradita da Napoleone Bonaparte. All’interno, contemporaneamente ferveva l’attività di artigiani e bottegai a cui erano stati affidati gli “arcavoli”, abbandonati definitivamente dalle meretrici nel 1537.


Il 24 novembre 1822, i fratelli Rossini, Goacchino e Gaetano, danno vita al primo spettacolo lirico:La Santa Alleanza. Quello che vediamo oggi, dunque, è un edificio  molto diverso dall’originale, sia esternamente che all’interno. Del glorioso passato romano, rimane la cosiddetta Ala, con i suoi quattro archi. Ma questo nulla toglie al fascino complessivo della struttura.

Amori difficili

Altro che Montecchi e Capuleti. Altro che Romeo e Giulietta. Altro che Verona.

Nella città veneta, che dal 2000 è patrimonio Unesco, milioni di turisti accorrono ogni anno a visitare la casa di Giulietta Capuleti e fanno la fila per salire sul balcone reso celebre da uno dei monologhi teatrali più intensi e famosi. Forse alcuni di loro non sanno che, dietro alla tragedia di Shakespeare, si cela in realtà tutta un’altra storia, una storia che narra soprattutto del potere della letteratura e della fantasia.  Il potere di plasmare la storia dei luoghi, di  creare suggestioni e atmosfere, di inventare un passato che non c’è mai stato, di modellare dal nulla nuove identità.


Scavando alle origini della leggenda veronese per eccellenza, infatti, si scopre che i due amanti sfortunati protagonisti della storia d’amore più romantica del mondo si chiamavano in origine Mariotto e Ganozza, facevano di cognome Mignarelli e Saraceni e abitavano a Siena. A narrare la loro storia, in prosa, tre secoli prima di Shakespeare e a latitudini decisamente più mediterranee, è Tommaso Guardati detto Masuccio da Salerno (o Salernitano), autore della raccolta Il Novellino.


Nella novella dell’autore quattrocentesco i due innamorati si sposano in segreto non perché le famiglie siano rivali tra loro, ma perché la passione è troppo forte e per essere realizzata sino in fondo deve essere legittimata da un’unione sacra. Poi Mariotto uccide un concittadino (come il Romeo shakespeariano assassinerà Tebaldo), i due si separano, lei è costretta a prendere marito e si finge morta, lui torna in città e viene decapitato. E a questo punto Ganozza, che morta non è, si lascia morire in convento. La Giulietta di Shakespeare farà una fine più spettacolare e cruenta ma,  come si suol dire, il risultato non cambia.

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il balcone di Giulietta

L’ambientazione veronese della vicenda si deve ad un altro prosatore, vissuto un secolo più tardi, il vicentino Luigi Da Porto, che traspose quanto raccontato da Masuccio nella Historia nuovamente ritrovata di due nobili amanti , scritta nella villa che l’autore possedeva a Montorso Vicentino, dalle cui finestre poteva vedere le vicine colline di un altro paese, Montecchio Maggiore.

Cosa c’entra quest’altra località nella storia di Romeo e Giulietta? C’entra eccome. Perché furono proprio le due rocche scaligere di Montecchio, posizionate una di fronte all’altra su quelle colline e ora chiamate i castelli di Romeo e Giulietta, a ispirare Luigi Da Porto. Fu lui, di fatto, che parlò per primo dell’amore contrastato di un Montecchi e una Capuleti creando, in prosa, la trama e l’ambientazione di quella grande tragedia di amore e di morte che William Shakespeare riuscì a rendere immortale.

Fu sempre il drammaturgo britannico a legare indissolubilmente alla città di Verona, alle famiglie veronesi di Montecchi e Capuleti, la vicenda di una passione impossibile e contrastata che è diventata un simbolo universale. Una storia che è approdata nella città veneta partendo da Salerno e passando per  Siena, Montorso, Montecchio e anche Stratford upon Avon. Percorrendo le vie tortuose, imprevedibili e sorprendenti della letteratura.

 

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