Ilaria Pullè in arte Billy Polly
Dominikos Theotokopulos, detto El Greco – soprannome legato, ovviamente alle sue origini, conseguente ad una fama internazionale tenacemente acquisita, e tipico destino di artisti e personaggi di origine ellenistica: anche Maria Callas, in realtà, si chiamava Maria Kalogheropolou – è stato definito, a ragion veduta, l’Ulisse visionario della Controriforma, puntuale definizione coniata da Stefano Zuffi nel Grande atlante della pittura.
Soggetto a fortune alterne a proposito delle committenze – Filippo II, sovrano di Spagna, non ne apprezza lo stile, considerato troppo dinamico e roboante – incontra il favore dell’arte sacra al tempo della Controriforma, tanto che gran parte della sua produzione resterà incentrata su soggetti di tipo religioso di varie dimensioni: dalle pale d’altare a formati più modesti, come sovente poteva accadere per dipinti dedicati a contesti familiari o celle monacali.
Artista di fama itinerante, dopo essersi formato a Creta presso un noto pittore di icone, e avendo egli stesso, a propria volta, raggiunto quel sufficiente grado di notorietà da permettere di riferirsi a lui, già negli scritti dell’epoca, come maestro pittore, si trasferisce a Venezia.
Uno spostamento piuttosto prevedibile, dato che Creta rientrava tra i territori appartenenti alla Serenissima, ed è qui che l’artista entra in contatto con i colleghi del luogo, tra i quali Tintoretto, Jacopo Bassano e lo stesso Tiziano, i quali non mancheranno di imprimere una impronta indelebile nell’animo artistico dello spagnolo: appaiono, in tal modo, cromatismi importanti e splendenti, oltre ad un indiscutibile stile personale che rende ogni sua opera inconfondibile.
Ai limiti dell’irreale, in un metallico, moderno dinamismo davvero suggestivo, si muovono personaggi, ognuno caratterialmente identificabile.
Troviamo così Cristo spogliato delle vesti, con le espressioni, a tratti grottesche, di soldati e aguzzini, che si staccano nettamente dal volto illuminato del Cristo, consapevole del proprio destino e determinato a non sottrarvisi, in cui il dettaglio dello sguardo rivolto verso il cielosi conferma emblema di quell’amaro calice inevitabile e indispensabile.
Caratteristica di El Greco è tratteggiare i visi intensamente e profondamente, senza bisogno di distorcere o esasperarne l’emotività, al contrario mostrandone un lato di condivisibile fissità, baluardo di certezza in un vortice destabilizzante.
Accade lo stesso nella scena di Cristo che scaccia i mercanti dal tempio, che si ripeterà nel momento della preghiera nell’orto degli ulivi, poi sublimandosi nella verticale ascesa della Resurrezione, con la scelta di delineare le nuvole, rimarcandone il sole prorompente e sottostante, tramite un effetto fulmineo di diretta e abbagliante luminosità, che finisce per raccordarsi ad oggetti e panneggi splendenti di tagliente visibilità.
Un tema evidentemente molto amato dall’artista, il quale se ne occupa più volte rielaborandolo e re-interpretandolo, le cui differenti versioni consentono un’analisi evolutiva rispetto al suo particolare excursus professionale.
Nella versione di Minneapolis, El Greco si riferisce all’episodio in specifico menzionato dal Vangelo di Giovanni, che in contrapposizione agli altri, sinottici, è l’unico che descrive la sferza di cordicelle con cui Gesù, materialmente, scaccia i profani dal tempio.
L’autore sceglie una rappresentazione di forte impatto emotivo, ponendo l’accento sui differenti sentimenti alberganti nelle menti dei protagonisti – dagli apostoli confabulanti e pensierosi, al penoso carosello di vari personaggi identificabili tra venditori di animali, cambiavalute e donne discinte – narrata attraverso una climax serpeggiante da destra a sinistra, che individua nel Cristo il consapevole fulcro di una divinità rivelata; l’espressione del Redentore, anziché vendicativa, conscia del proprio dovere moralizzatore, dissipa il dubbio latente facendolo precipitare nella caotica sorpresa imminente, la cui ultima confusione si mostra negli orpelli distrutti e nelle torsioni scomposte, quasi a ricordare la simile scena del film Jesus Christ Superstar, di Norman Jewison, in cui un irrefrenabile Ted Neeley, indubbiamente più irruente, rovescia tavoli e suppellettili, intravvedendosi tra questi ultimi dei vistosi espositori di cartoline, simbolico riferimento ad un moderno commercio ai limiti del turistico.
El Greco, nella versione successiva qui proposta, oggi collocata presso la National Gallery di Londra, arricchirà il contesto della forte valenza di due ulteriori elementi simbolicamente ammonitori: due fregi, rispettivamente raffiguranti la cacciata dal Paradiso Terrestre, in guisa di minaccioso antefatto, e il sacrificio di Isacco, nuova speranza di possibile ravvedimento.
Unico El Greco, eccelso manierista di inaudita misticità, attualmente in mostra a Milano, presso Palazzo Reale, fino al 25 febbraio 2024.