di Ilaria Pullè in arte Billy Polly
Lucio Fontana riesce a realizzare una delle massime aspirazioni di ogni artista: creare un’immagine destinata a divenire la memoria visiva di un’epoca, ed il modo in cui perviene a tale risultato, nonostante critiche e facili perplessità, comprende, oltre a ragionamenti profondi e complessi, una imprescindibile sensibilità di cui non tutti sono dotati.
Occorre innanzitutto premettere che i buchi ed i tagli di Fontana, in realtà, comprendono l’ultimo decennio della sua vita, intervenendo dopo un percorso artistico dedicato in gran parte ad arte classica e tradizione. Una tradizione che l’autore, beninteso, intende mettere in discussione in maniera assolutamente dirompente, pur sapendo come per farlo sia impossibile prescindere dalle origini.
Dopo aver realizzato, negli anni Trenta, una serie di opere straordinarie, tra il monumento funebre a Paolo Chinelli, capolavoro visibile presso il Cimitero monumentale di Milano, nel 1946 Lucio Fontana aderisce al Manifesto bianco, non stilato di suo pugno per ovvie ragioni di opportunità – Fontana era un accademico – ma assolutamente condiviso, recante il principio per cui tutte le cose nascono per necessità e hanno valore nel loro tempo; un concetto molto simile a quello enunciato dall’artista russo Vassilij Kandinskij, secondo il quale ogni arte è figlia del suo tempo.
Teorico dello Spazialismo, partecipa, nel 1948, anche un secondo manifesto in cui non vengono più concepite pittura e scultura, ma nuove modalità di espressione mediante le risorse della tecnica moderna.
È così che, attraverso le sue opere, egli esprime la propria necessità di andare oltre, bucando e tagliando la tela, alla ricerca dell’infinito che vi passa e deve essere raggiunto. Affrontando il problema spazio, si ragiona sullo spazio pittorico comunque destinato a rimanere fittizio, risultato di un’illusione che genera la sua esistenza, per poi giungere allo spazialismo vero e proprio, verso gli anni Sessanta, in cui Fontana letteralmente ferisce la superficie del quadro con fori o tagli.
Nel taglio c’è il gesto che permette di penetrare oltre la superficie della tela – a questo proposito, esistono bellissimi video che documentano i momenti realizzativi dei tagli, a seguito di profonda, meditativa concentrazione – secondo una ricerca che oltrepassa il piano ordinario del quadro, diretta verso una nuova dimensione.
Il gesto di rottura, oltre il limite imposto dalla tradizione, ma nella conoscenza onesta – parole dello stesso autore – della tradizione stessa, nell’uso accademico di pennello, scalpello e colore.
Il concetto spaziale di Fontana non è un semplice taglio, ma, come lui stesso lo definisce, un’espressione filosofica, che si manifesta attraverso un atto di fede verso l’infinito.
L’espressione di una spiritualità, conseguenza della liberazione della materia dalla schiavitù…
Ringrazio idealmente lo storico dell’arte Carlo Vanoni, il cui video, presente su YouTube e sulla sua pagina Fb, è estremamente istruttivo sul percorso e la concezione artistica di Lucio Fontana, e che tutti coloro i quali abbiano pensato ‘Questo lo sapevo fare anch’io’, dovrebbero visionare…
Nella foto: Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attesa, 1964