Cosa si nasconde dietro alla facciata neoclassica della Villa Reale di Monza? Circondata dal parco cintato più grande d’Europa, la villa fa parte del paesaggio quotidiano di molti monzesi, ma forse non tutti sanno che è stata protagonista di una storia travagliata fatta di grandi amori, ma anche di avversione e trascuratezza.
Ma partiamo dalla fine. Ossia da oggi. La Villa Reale di Monza, che attualmente non ha un unico proprietario, ha aperto alle visite del pubblico alcune delle sue stanze. Luoghi pieni di storia e di segreti affascinanti, come quello del re Umberto I di Savoia, per il quale la villa rappresentava il luogo di villeggiatura favorito.
A dire il vero, il re era stato ammaliato non solo dalla bellezza della natura del Parco di Monza, ma anche da un altro tipo di fascino, tutto femminile, quello della ‘Litta’, ovvero Eugenia Attendolo Bolognini Sforza, sposa legittima del Duca Giulio Litta Visconti Arese. Il futuro re l’aveva conosciuta a soli 18 anni a un ballo di Carnevale, lei aveva sette anni più di lui ed era bellissima.
I suoi occhi blu e i suoi capelli neri avevano già fatto perdere la testa a milanesi illustri come Marco Praga e Arrigo Boito, ma anche allo scrittore francese Balzac, e sembrerebbe che persino il padre di Umberto, re Vittorio Emanuele II in persona, non fosse rimasto insensibile a tanto fascino. In ogni caso fu un colpo di fulmine: Umberto se ne innamorò subito perdutamente.
Pochi anni più tardi la ragion di stato lo costrinse a sposare la cugina Margherita, ma Eugenia rimase per tutta la vita il suo vero amore. La donna risiedeva gran parte dell’anno a Vedano al Lambro, nella villa adiacente il Parco di Monza, che fu teatro degli incontri dei due amanti. Umberto fece aprire un vialetto attraverso i parchi delle due ville: la sera, congedatosi dalla moglie legittima, raggiungeva Eugenia.
E quando il re fu assassinato proprio a Monza dai colpi di pistola dell’anarchico Gaetano Bresci, fu la stessa regina Margherita a mandare a chiamare Eugenia Litta, permettendole di vegliare l’uomo con cui aveva condiviso per tanti anni l’amore.
Se per ragioni sentimentali Umberto I amava particolarmente la sua Villa e non badò a spese per arricchirla e per impreziosirne i giardini con piante esotiche, i costruttori della Villa Reale, gli Asburgo, erano andati piuttosto al risparmio, come si può vedere anche ora dai finti bassorilievi presenti nelle stanze, ottenuti con la tecnica trompe l’oeil.
Il figlio di Umberto, Vittorio Emanuele III di Savoia, nutriva invece addirittura un odio profondo per questa dimora di famiglia, a tal punto che, si racconta, quando vi passava davanti con la propria carrozza, era solito chiudere con sdegno le tendine per non vederla. Forse perché proprio a Monza suo padre Umberto era stato assassinato? O per via di quel vialetto che si apriva verso la residenza della Litta?
Oppure la villa nascondeva qualche altro segreto o ricordo doloroso? In ogni caso, sotto il regno di Vittorio Emanuele III, l’edificio andò in rovina: il re chiuse la villa e la donò ai comuni di Monza e Milano, durante le guerre l’edificio fu teatro di occupazioni e spoliazioni e rimase a lungo abbandonata a un destino di decadenza.
Ora che la villa ha aperto le sue porte, ora che è possibile entrare in alcune delle sue camere, è come se un mondo si spalancasse davanti a noi. Non importa se le stanze visitabili sono solo alcuni ambienti di rappresentanza spogli degli arredi, per lo più depredati in epoca napoleonica, e se l’intimità delle stanze reali ci viene celata.
Attraverso le vetrate della sala da ballo osserviamo il giardino che tante volte abbiamo frequentato nelle giornate primaverili e che ora possiamo vedere dall’altra parte del vetro. Ci sentiamo come Alice che ha attraversato lo specchio ed ora si trova in una dimensione fantastica, e vorremmo continuare ad esplorare, penetrare anche negli ambienti rimasti inaccessibili, trasformarci in due minuscole api per svolazzare verso le stanze reali, le cucine, i bagni, le scuderie.
Ambienti che proviamo a immaginarci all’epoca di Umberto ed Eugenia, pieni delle voci, delle chiacchiere, delle risate di dame e ospiti illustri. Ma anche, probabilmente, dei racconti sussurrati dalla servitù su una delle storie d’amore più vere, romantiche e durature che abbiano mai coinvolto la famiglia reale dei Savoia.
Francesca Radaelli