di Francesca Radaelli
“Le delizie della villa”. Chissà se, quando pubblicò il testo così intitolato, il conte Pietro Verri aveva in mente la sua residenza di villeggiatura a Biassono, nella campagna brianzola.
Il testo uscì nel 1764 sul Caffè, la rivista simbolo dell’Illuminismo milanese, diretta dallo stesso Pietro Verri. Si tratta, nella finzione letteraria, di una lettera inviata al conte da un amico, che nello vi descrive la vita che si trova a condurre all’interno di una fittizia villa nobiliare di campagna, di cui egli si trova ospite.
Un pretesto per dispiegare una descrizione particolareggiata della villa nobiliare ideale, per i canoni del Settecento. Lontana quanto basta dai rumori della città, immersa in una campagna da sogno: “L’aria qui è sana, temperata e ridente; il paese ci presenta da una parte una vasta pianura tutta sì ben coltivata che sembra un seguito di non interrotti giardini; dall’altra parte cominciano le collinette coperte di uve eccellenti”. Un giardino alla francese, uno all’italiana, spazi armoniosi all’interno e all’esterno della villa. Dove praticare un ozio colto, animato da letture, musica, conversazioni raffinate.
Chissà se Pietro Verri pensava alla villa di Biassono, frequentata dalla sua famiglia nei mesi estivi, ma anche autunnali, per seguire le attività agricole nei possedimenti brianzoli dei conti Verri.
Quel che è certo è che Villa Verri, oggi sede del municipio del comune brianzolo, è ben più legata a un altro dei quattro celebri fratelli Verri, Carlo.
Pietro e Carlo, ‘fratelli coltelli’
Forse, per la verità, oggi Carlo Verri è il meno celebre dei quattro. Non quanto il già citato Pietro, il primogenito, illuminista di spicco sotto il governo austriaco di Milano. Né come Alessandro, illustre letterato. E anche Giovanni, il minore, è ben più ricordato. Per lo meno sulle antologie scolastiche, per il probabile merito di essere il padre naturale dello scrittore Alessandro Manzoni.
Eppure fu proprio Carlo Verri, figlio cadetto della famiglia di nobili feudatari di Biassono, a ottenere il possesso della villa brianzola dopo la morte del padre Gabriele. Non senza passare attraverso una lunga disputa ereditaria che lo vide contrapposto soprattutto al fratello maggiore Pietro.
I due del resto si erano già scontrati in precedenza. Sono durissimi i giudizi che nelle sue lettere Pietro esprime sul fratello: “pare che abbia ridotta la fatuità a sistema”, “è un uomo senza condotta di sorta alcuna”.
Del resto lui, Pietro, era un rispettabile protagonista della vita culturale milanese: animatore del Caffè, punto di riferimento per la cultura ‘progressista’ dell’epoca, a proprio agio tra i nobili ‘illuminati’, amante degli studi filosofici.
Carlo, invece, in gioventù amò soprattutto le nobildonne già sposate, creando non pochi problemi scandalistici alla sua rispettabile famiglia. E finì per trascorrere la maturità al fianco di Teresa Colombi, una donna che nobile non lo era nemmeno un po’ e che, senza divenire mai sua moglie, fu sua compagna di vita sino alla propria morte.
E anche sull’idea di cosa dovesse rappresentare una ‘villa di campagna’ i due fratelli avevano qualche divergenza. Carlo sarà stato anche fatuo e donnaiolo, ma più del fratello aveva il senso degli affari. O almeno, il desiderio di far fruttare al meglio il possedimento campagnolo di Biassono.
Un nobile ‘agronomo’
Dopo essersi appassionato all’arte e alla pittura durante gli anni giovanili, Carlo Verri si affermò soprattutto come un esperto di agronomia. Pubblicò trattati tecnici sugli aspetti più disparati della materia, dalla coltivazione dei terreni incolti, all’apicoltura, all’allevamento dei bachi da seta (una voce sempre più importante per l’economia lombarda). Ma soprattutto cercò di applicare le sue conoscenze nella pratica, nei possedimenti che, per la sua famiglia, erano stati a lungo soprattutto degli ameni luoghi di villeggiatura.
E così il fratello Pietro dovette assistere attonito allo smantellamento dei carpini decorativi della villa di Biassono, per lasciare il posto a un ‘volgare’ frutteto o a una vigna. Altro che giardini all’italiana o alla francese: Carlo trasformava tutto in un orto produttivo, “cosa che”, secondo Pietro, “esclude l’idea di una villa nobile”.
Forse i tempi erano cambiati. Al dispotismo illuminato degli Asburgo, era subentrato il governo della Francia di Napoleone. Di certo Carlo Verri rimaneva sì un nobile possidente, ma si comportava anche come un imprenditore agricolo. Convinto che i contadini, ignoranti di per sé, non avrebbero mai di loro iniziativa agito per incrementare le rendite dei suoi possedimenti, Carlo interveniva direttamente – e a dispetto della propria nobiltà – nella gestione delle sue proprietà fondiarie. Sia lanciandosi in speculazioni e acquisti di nuovi terreni, sia tentando esperimenti agronomici e botanici, come l’impianto dell’erba medica, un tipo di foraggio ‘innovativo’ nelle terre di Biassono.
Anche Carlo Verri ebbe un ruolo non marginale in alcune vicende politiche milanesi, ai tempi del Regno d’Italia napoleonico. Il suo cuore però rimase a Biassono. Qui, scrisse nel testamento, avrebbe voluto essere seppellito. Morì però durante un viaggio a Verona, e lì oggi si trova la sua tomba. A Biassono oggi c’è il museo a lui intitolato.