Se Tizio partecipasse ad un gioco, che ne so, un gioco da ora di cena su uno di quei canali tv commerciali e dalla finte risate stile americano, e un presentatore qualsiasi chiedesse lui di descrivere Andrea con un aggettivo, qualcuno risponderebbe con “violino”, correggendosi poi con un “ah no, Gerry, violinista, scusa”, nella sicurezza di aver azzeccato al solo secondo tentativo quella variabile del discorso che risulta sempre difficile da declinare. Ma qual è l’aggettivo che deriva dal nome primitivo “violino”? Ah no, violino deriva da viola. Non è un nome primitivo. Oddio, chiediamo ai giudici. Eppure, questo fantomatico concorrente avrebbe visto accendersi il led verde, Andrea avrebbe sorriso e perché no, applaudito.
Andrea è un liutaio, ma suona anche i violini che costruisce con le proprie mani. Andrea vende anche i suoi violini. Campa della sua passione, come si dice in Brianza. Li vende agli studenti del conservatorio, agli appassionati e a quei musicisti amatoriali che provano un’oretta alla sera, quando non ci sono i figli da sgridare, una volta alla settimana, non di più.
Ai musicisti che “no, ma lui si impegna, eh”, ancora una volta in mancanza dell’aggettivo giusto. Si è ritagliato il suo mercato persino all’estero, Andrea. Ha imparato dal padre falegname. Il suo è un lavoro da falegname di precisione, in fondo, se gli strumenti che usa sono gli stessi del babbo, rimpiccioliti di qualche taglia.
Per la costruzione di un violino, Andrea Il Liutaio si dedica inizialmente alla preparazione del fondo, costituito da due pezzi di acero marezzato, rigorosamente lavorati a mano. Passa poi alla tavola, anch’essa composta da due pezzi, di abete però. L’acero è cercato anche per la costruzione di quelle fasce di spessore 1,2 millimetri, che per essere lavorate vengono arrotondate da un ferro reso incandescente.
Andrea inizia a vederlo il suo violino, quando, dopo aver giuntato tavola e fondo, finalmente disegna la sagoma. È romantico pensare ad un violino, immersi nella Cremona del XVII secolo, tra Nicola Amati, Antonio Stradivari e Andrea Guarnieri. È romantico anche pensare al solo suono del violino, voce ideale per portare la melodia o per sorreggere il canto.
Un po’ meno melodioso, però è pensare che Andrea usa sgorbie e palettine per la bombatura del legno, che viene poi rifinito con rasiere. Perché sgorbie? Che strano suono questa parola. Forse ci piace di più usare la parola sgubbia, così come facevano gli antenati senesi. Fatto sta che, terminato questo lavoro, arriva la prova del nove, con la misura dello spessore. Il violino è assemblato.
Si procede con il manico, la cui voluta della chiocciola viene tagliata da un blocco di acero, modellato e arrotondato con un coltello. Il manico non è di semplice fattura, se si pensa che un angolo di inclinazione sbagliato, o una calibratura con il centro pressapochista possano impedire al violino un suono perfetto. I circa quaranta pezzi di cui è composto un violino sono praticamente assemblati.
Manca l’anima, quel cilindretto nascosto che regola il suono, mettendo a contatto il fondo con la tavola. Ah, le corde. Mancano anche le corde. Di nylon, di metallo o di budello.
Camilla Mantegazza