di Isabella Procaccini
“Correva malissimo, tutto storto! La lingua gli penzolava a lato della bocca, dondolava, sbuffava…” Però vinceva, vinceva sempre, perché aveva capito che l’uomo è nato per correre. Aveva capito che doveva imparare a correre, come gli uccelli devono volare e i pesci devono nuotare.
“La vita è una corsa e quello che ci si lascia dietro sono solo ostacoli” È bellissimo questo parallelismo tra lo sport e la vita. È lo sport che insegna a vivere, che permette di individuare i propri limiti e ricominciare da capo, per cercare di superarli. La storia di Emil Zátopek, in scena ieri al Teatro Manzoni di Monza, parla di tutto questo, parla di un uomo che ha fatto del correre la propria vita, o almeno la parte che valga la pena di ricordare. Il regime sovietico però lo opprimeva, lui voleva soltanto essere libero e rivendicare il diritto di essere padrone di se stesso, ma firmò “2000 parole di troppo”, lo costrinsero in Siberia ai lavori forzati e dovette smettere di correre e, quindi, di vivere. Reintegrato in patria dopo sette anni, si mise a fare lo spazzino…
Stefano Annoni è interprete perfetto del ruolo di Zátopek, sul palco corre per la maggior parte della durata dello spettacolo, canta e racconta la sua storia a Daniele Gaggianesi, perfetto anche lui nel suo ruolo di inquisitore travestito da spazzino. È proprio Daniele a stimolare il racconto di Zátopek, lo stuzzica, gli ricorda chi è, lo mette a suo agio facendogli credere di voler fare il pugile e poi canta… canta canzoni proibite che solo un uomo che ancora credeva negli ideali della famosa Primavera del ’68 poteva capire e ricordare. I due attori, soli in scena, sono diretti dal regista Massimiliano Speziani, bravissimo nel giocare con i movimenti che permettono allo spettatore di immergersi appieno nel mondo del protagonista. Quella che vediamo è una corsa vorticosa intervallata da pause, come l’allenamento di Zátopek! È un continuo avvicinamento e allontanamento tra i due attori che ben suggerisce l’idea della gara, della competizione che spinge i partecipanti a rincorrersi per vincere.
Poi ci sono loro, i sacchi della spazzatura, unico ingombro di uno spazio scenico lasciato puro teatro: sono leggeri, riempiti soltanto dall’aria che li circonda e che gli permette di volare. Qui tornano le ali dell’uomo, Zatopek volava quando correva, era il Jet, la Locomotiva Umana.
L’uomo con la pettorina 903 alle Olimpiadi di Helsinki era diventato lo spazzino 903-903 ma lui, nel ricordo, continua a correre, sorride e inizia a volare, come quei sacchi della spazzatura. Mi è stato detto che Speziani ha cercato di riprodurre lo stadio dove Zátopek correva; forse c’è di più in questa scelta di lasciare il teatro spoglio, di mostrarlo in tutto il suo fascino (per me lo è) con scale, corde e quadri elettrici in vista… forse perché è proprio il teatro che diventa un’arena sportiva, il Teatro come luogo della rappresentazione si fa luogo della vita e della memoria di Zátopek, che nel suo essere uomo ha cercato sempre di superarsi, di mettersi alla prova, di impressionare ed emozionare il suo pubblico… proprio come un attore sul palcoscenico.