Yvan Sagnet riceve il titolo di Cavaliere della Repubblica

di Valeria Savio

Oggi Yvan ha trentun anni ed è laureato in ingegneria delle telecomunicazioni al Politecnico di Torino, ma quando arrivò in Italia, nel 2007, era solo uno dei tanti studenti stranieri alle prese con molte difficoltà, come quella di trovare qualche impiego part time che gli consentisse di mantenersi integrando la borsa di studio. Innamorato dell’Italia e della sua cultura sin da quando la squadra della sua nazione, il Camerun, aveva partecipato ai mondiali di calcio del ’90 ricevendo il sostegno caloroso dei tifosi italiani, Yvan cresce in una famiglia relativamente agiata, che gli permette, seppure con dei sacrifici, di realizzare il sogno di studiare a Torino.

Dopo aver svolto alcuni lavori saltuari, come quello di steward nello stadio Olimpico, nell’estate del 2011 il ragazzo ha difficoltà a trovare lavoro, così, su consiglio di alcuni amici, decide di partire per la Puglia per lavorare nei campi alla raccolta dei pomodori.

Arrivato in Salento, alla Masseria Boncuri, trova una realtà di cui non immaginava l’esistenza, gli vengono sequestrati i documenti, le condizioni di vita e di lavoro sono disumane, con giornate di diciotto ore lavorative e il guadagno è di tre euro e cinquanta per ogni cassone faticosamente riempito con tre quintali di pomodori, ma soprattutto scopre che a trattare i lavoratori come schiavi ci sono i caporali, uomini senza scrupoli che sfruttano al massimo la forza lavoro in accordo con i proprietari terrieri, arricchendosi sulla loro fatica.

Esasperati da questa situazione, i braccianti africani si riuniscono per la prima volta in un’assemblea e decidono di cominciare uno sciopero, Yvan diventa il loro leader e il portavoce delle richieste. Non è facile motivare e mantenere coesi tanti uomini di varie etnie, provenienti da zone dell’Africa diverse fra loro, con culture e lingue differenti, che hanno già dei contrasti e tante difficoltà di convivenza, ma la protesta continua, varca i confini della Puglia e attira l’attenzione di tutta la nazione.

I braccianti possono contare sul sostegno dei volontari italiani di alcune associazioni vicine agli immigrati e su quello di alcuni sindacalisti, ma per Yvan sono giorni molto duri, viene picchiato e minacciato di morte dai caporali e, in una occasione, viene aggredito fisicamente dai suoi stessi compagni, aizzati contro di lui dai caporali stessi, ed è costretto a tornare per un po’ di tempo a Torino per salvaguardare la propria vita.

Ma qualcosa è cambiato per sempre, ormai, le istituzioni italiane prendono finalmente coscienza della situazione dei braccianti e viene finalmente approvata la legge contro il caporalato, grazie alla quale la magistratura fa arrestare sedici persone appartenenti ad un’organizzazione criminale attiva fra Rosarno, Nardò e altre città pugliesi.

Sagnet ha raccontato la sua storia personale nel volume Ama il tuo sogno, pubblicato nel 2012 dalla Fandango, e quest’anno ha ricevuto a Catania, il 21 maggio, il Premio Internazionale all’Impegno Sociale Livatino-Saetta-Costa per il suo coraggio e le sue denunce contro il fenomeno del caporalato denunciato nel libro inchiesta Ghetto Italia, scritto insieme al sociologo Leonardo Palmisano.

Ma soprattutto, nel novembre scorso, ha ricevuto dal Presidente Mattarella il titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana “per il suo contributo all’emersione e al contrasto dello sfruttamento dei braccianti agricoli”.

Attualmente svolge il ruolo di sindacalista per la Flai-Cgil, e continua ad andare nei campi per incontrare i lavoratori sfruttati e tracciare una mappa dei vari ghetti, ma la sua attività è limitata dalle minacce che continua a ricevere e la sua vita sembra essere seriamente in pericolo. Eppure continua a portare avanti la sua opera, in nome di un’ideale di democrazia e di giustizia sociale in cui crede veramente, perché, come scrive nella sua biografia, sicuramente lo sciopero di Nardò non ha avuto il potere di cambiare del tutto la situazione, ma “la strada era quella giusta, ne sono convinto…Boncuri non può e non deve restare un caso isolato; nessun lavoratore, per quanto straniero, deve più accettare meno di quello che gli spetta”.

 

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