“Il 24 agosto, verso l’una del pomeriggio […].Si elevava una nube, ma chi guardava da lontano non riusciva a precisare da quale montagna [si seppe poi che era il Vesuvio]: nessun’altra pianta meglio del pino ne potrebbe riprodurre la forma.Infatti slanciatosi in su in modo da suggerire l’idea di un altissimo tronco, si allargava poi in quelli che si potrebbero chiamare dei rami […]. Dall’altra parte una nube nera e terrificante, lacerata da lampeggianti soffi di fuoco che si esplicavano in linee sinuose e spezzate, si squarciava emettendo delle fiamme dalla forma allungata: avevano l’aspetto dei fulmini ma ne erano più grandi. Altrove era già giorno, là invece era una notte più nera e più fitta di qualsiasi notte, quantunque fosse mitigata da numerose fiaccole e da luci di varia provenienza […]”.
Con queste parole nella celebre Epistola VI – 16, Plinio il Giovane descrive all’amico Tacito lo scenario apocalittico di cui, allora diciottenne, fu testimone oculare e in cui perse la vita suo zio, Plinio il Vecchio, insieme ad altre migliaia di persone. Nel corso di tre giorni, dal 24 al 26 agosto del 79 d.C., il Vesuvio seppellì Pompei sotto alcuni metri di cenere e detriti, sigillandone gli ultimi momenti di vita per diciassette secoli, fin quando Carlo il Borbone, stimolato del rinvenimento della città di Ercolano, nell’aprile del 1748 autorizzò e finanziò una nuova campagna di scavo sulla collinetta di Civita, affidandone la gestione all’ingegnere militare Roque Joachim de Alcubierre al quale successe nel 1780 l’architetto Francesco La Vega. Come spesso accadeva a quell’epoca, ancora prima dell’identificazione dell’area archeologica con la città di Pompei che avvenne nel 1763 grazie al rinvenimento di un’iscrizione menzionante la Respublica Pompeianorum, gli scavi erano improntati alla ricerca degli oggetti più preziosi e delle strutture più appariscenti e monumentali. Sotto la direzione dell’ingegnere Alcubierre riemersero l’Anfiteatro, i Praedia di Iulia Felix e la Via dei Sepolcri con la relativa Porta Ercolano.
Il successivo intervento dell’architetto La Vega rappresentò una svolta nella storia degli scavi poiché diede organicità alle indagini archeologiche con l’obiettivo di rendere visitabile per la prima volta almeno una parte della città che pian piano stava ritornando alla luce. L’architetto scavò a nord lungo la direttrice di Via dei Sepolcri mentre nella parte a sud della città decise di allargare l’area di ricerca in direzione di Porta Ercolano. Gli scavi in questa area furono coronati dal più ampio successo con il rinvenimento dell’Odeion, della caserma dei Gladiatori, del Foro Triangolare e del Tempio di Iside. Nel progetto di La Vega le due porzioni della città da lui scavate, a nord e a sud, si sarebbero dovute unificare; il suo piano si attuò nel corso del decennio napoleonico (1806 – 1815) con la scoperta e lo scavo del Foro Civile che ritornò così ad essere il fulcro dell’antica colonia romana.
Tappa fondamentale per la ricostruzione della storia di Pompei fu l’acquisizione della direzione degli scavi da parte dell’archeologo napoletano Giuseppe Fiorelli, dal 1863 al 1875, con cui ebbe finalmente inizio una nuova stagione di ricerca, basata sul rigore scientifico. Fiorelli organizzò l’area archeologica dividendola in Regioni e Insulae, numerò tutti gli edifici e a lui si deve l’ideazione del metodo che consentì di riprodurre impressionanti testimonianze visive dell’agonia dei pompeiani, colando il gesso liquido all’interno delle cavità lasciate dai corpi sommersi dalle ceneri vulcaniche e decomposti nel corso degli anni. Una volta solidificato il gesso, il terreno circostante veniva rimosso e la forma ottenuta era portata alla luce. Utilizzando questa tecnica, si realizzarono numerosi calchi di corpi umani, animali ed oggetti.
Verso la fine dell’Ottocento gli scavi subirono un rallentamento, per poi riprendere con fervore nel 1927 sotto la direzione di Amedeo Maiuri, il quale scoprì edifici di grande prestigio, delimitò i confini della città, recuperò la necropoli di Porta Nocera e iniziò inoltre la ricerca delle fasi precedenti Pompei scavando al di sotto del livello sommerso nel 79 d.C.
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, furono promosse numerose attività di restauro per rimediare ai danni subiti durante il conflitto e furono favorite nuove attività di scavo archeologico.
Oggi, anniversario dall’inizio degli scavi, alla luce degli ultimi fatti che hanno visto il crollo e il degrado di numerosi edifici della città di Pompei, dichiarata Patrimonio dell’Umanità dal 1997, dovremmo cogliere l’occasione per meditare sulle recenti parole, forse profetiche, del Professor Andrea Carandini, Presidente del FAI: “La manutenzione programmata è l’unica via che può risolvere i problemi di Pompei e permetterci di uscire dal pantano in cui siamo finiti. Se la prenderemo Pompei si salverà. Se non la prenderemo non si salverà. E lo stesso vale per l’Italia”.
Martina Mantegazza
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