di Francesca Radaelli
Moriva il 14 settembre 1321 il poeta Durante di Alighiero degli Alighieri, per gli amici Dante. Fiorentino, è sepolto a Ravenna. Questa città – che oggi celebra l’anniversario della sua morte con un ricco programma di celebrazioni – rappresentò infatti l’ultima tappa di un esilio iniziato nel 1302, ossia quando nel comune di Firenze prese il potere il partito politico a lui avversario.
Perché bisogna sapere che il padre della nostra letteratura, il cui profilo inconfondibile è ben noto a chiunque, colui che per primo sdoganò l’uso del volgare italiano – anzi fiorentino – come lingua di cultura, non era affatto un intellettuale con la puzza sotto il naso che se ne stava per conto suo e guardava tutti dall’alto in basso. Al contrario, Dante amava sporcarsi le mani nelle faccende politiche del suo comune, nelle quali era immerso fino al collo.
Due erano i partiti maggiori nella Firenze trecentesca, i Guelfi Bianchi e i Guelfi Neri. Dante militava nei Bianchi, sostenendo la necessità di distinguere tra potere spirituale del papa e potere temporale dell’imperatore. Una posizione, questa, ampiamente spiegata nella Monarchia, il suo celebre trattato politico. Fece anche una discreta carriera, arrivando a rivestire la carica di priore di Firenze, ma tutto precipitò quando, mentre si trovava a Roma come ambasciatore presso il papa, gli fu fatta pervenire la condanna al rogo da parte del governo fiorentino, controllato dalla fazione dei Neri.
Da questo momento in poi il poeta, che già aveva composto la celebre Vita Nova, non mise più piede nella sua città natale, trascinandosi in un esilio che lo portò a toccare vari luoghi d’Italia. Si rifugiò innanzitutto in Lunigiana presso i marchesi Malaspina, per passare poi alla Romagna, dove fu ospite di diverse corti e famiglie, tra cui i signori di Forlì, i ghibellini Ordelaffi. Infine, a Ravenna fu ospitato a corte da Guido Novello da Polenta. In questa città morì e qui si trova tuttora la sua sepoltura, presso la Basilica di San Francesco. Sul monumento, costruito tra 1780 e 1781 al di sopra della tomba quattrocentesca, spicca l’epitaffio dettato in latino da Berardo Canaccio nel 1366, che termina così: “Qui sto racchiuso, (io) Dante, esule dalla patria terra, cui generò Firenze, madre di poco amore”.
Quest’uomo cacciato dalla sua città, con la quale mantenne un rapporto di amore e odio ben visibile nelle invettive contro la Firenze contemporanea lanciate in più punti della Commedia, fu – paradossalmente – colui che rese la lingua parlata in questa stessa città il punto di riferimento per ogni opera successiva della letteratura italiana.
La sua Commedia in volgare fiorentino – definita ‘Divina’ dal Boccaccio – non è solo uno dei capolavori della letteratura italiana e mondiale (per la gioia e il dolore di generazioni di studenti), ma una vera impresa monumentale: cento canti in terzine a rima incatenata per un totale di 4720 versi. Vi si raccontano le incredibili avventure del poeta stesso che, ritrovatosi perduto nella ormai divenuta proverbiale “selva oscura”, dovrà attraversare Inferno, Purgatorio e Paradiso prima di ritrovare la dritta via. Incontrerà celebri personaggi che gli narreranno la loro storia travagliata – da Francesca da Polenta a Ulisse, dal conte Ugolino a San Bonaventura da Bagnoregio – e, grazie all’aiuto del Maestro Virgilio e dell’amata (platonicamente parlando) Beatrice, giungerà addirittura a guardare negli occhi niente meno che il Creatore in persona.
Un’opera che ancora oggi è un vero cult, basti pensare alle (ri)letture pop che ne ha fatto Roberto Benigni, attirando un vasto pubblico di ascoltatori (per tacer di quelle di Vittorio Sermonti), o al bestseller Inferno di Dan Brown, uscito nel 2013 e ispirato proprio alla cantica omonima del poema. Anche se questa volta l’accorto Dan è arrivato un po’ in ritardo. Già nel 2010 l’‘Inferno’ creato dal poeta fiorentino era diventato un videogioco: ‘Dante’s Inferno’, liberamente tratto dalla Commedia, con una ripresa abbastanza fedele dell’architettura dei gironi dei dannati.
Dopotutto eventuali diritti d’autore sulla Commedia sono ormai scaduti, da secoli. E l’universo creato dal fiorentino Dante è ora un patrimonio a disposizione di tutti, nel mondo. Come è giusto che sia.
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